venerdì 18 aprile 2008

Lettera aperta




Preg.mo Dottor Manfredi Borsellino
E p.c.
Ai Familiari dei Poliziotti caduti in via D'Amelio con il Dottor Paolo Borsellino: ai quali spero,che la presente giunga tramite la buona volontà del Dottor Manfredi Borsellino.
Senza molte speranze, anche Al Procuratore Nazionale Antimafia: Dottor Pietro Grasso.


Al Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano: spero che almeno, Lui risponda prontamente, imponendo la sua Autorevolezza a favore dei valori della Verità e della Giustizia, contro chiunque e contro qualsiasi interesse.
A tutti gli uomini e le donne del mio Paese, che non vogliono arrendersi a quella mafia, che a sinistra, come a destra, ha storicamente avuto il volto delle Istituzioni.
Premessa alla lettera aperta che segue
Nella lettera aperta che segue, si snodano e si liberano inesorabilmente quelle verità che notificano, la descrizione della sparizione dei confini fra Stato e Antistato; viaggiando dentro di essa si perde la possibilità di individuare l'Antistato perchè lo Stato, dentro quello stabilimento navale delle Partecipazioni Statali ed in quella importante borgata marinara di Palermo, da almeno 25 anni, si era dissolto.
Protagonisti degli scenari in oggetto sono pezzi importanti di quella Procura di Palermo che, come si delinea dalle indagini della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla mafia e dai tantissimi momenti significativi e giudiziari della mia storia, non si attivò mai per portare alla luce le compromissioni fra Fincantieri e "cosa nostra".Credo sia giusto che gli attori istituzionali a cui si riferiscono le pagine che seguono (quelli che avrebbero potuto sbagliare in buona fede), si adoperino assieme ai familiari delle vittime affinché sia la verità ad emergere, pretendendo l'attivazione di approfondite indagini in ordine ai fatti che da ben quattro anni ho già, in parte, messo a disposizione dell'autorità giudiziaria senza, alcuna fortuna: ciò è accaduto anche in presenza del fatto che quelle Procure e/o la Procura di Caltanissetta, dopo ben 14 anni e malgrado i tantissimi "pentiti" non hanno mai avuto un movente forte, sul quale poggiare una definitiva "ipotesi accusatoria" che porti a luce, il volto dei mandanti.
I fatti proposti e documentati, impongono una impietosa analisi, perchè in ogni omicidio e in ogni strage che hanno visto vittime gli uomini delle Istituzioni, le Procure siciliane non hanno mai, storicamente cavato un ragno dal buco, quando si è trattato d'arrivare alle responsabilità politiche e Istituzionali che quegli omicidi e quelli stragi hanno ordinato.
Le organizzazioni terroristiche, ("Brigate Rosse" ed affini) sono state sgominate partendo da un appunto e/o un semplice segnale telefonico... quando invece ci si è trovati di fronte agli assassini ed alle stragi attuate in funzione politica dall'organizzazione denominata "cosa nostra" malgrado le rozze tracce, malgrado i rozzi depistaggi, ed i tantissimi "pentiti", non si è mai arrivati alla verità che ha il volto dei mandanti.
Scrive Bacone: ci sono tre stadi per celarsi e mascherarsi. In primo luogo ci si procura discrezione, riservatezza e segretezza allorchè non ci si lascia osservare o analizzare per ciò che si è. In secondo luogo si raggiunge la dissimulazione, in senso negativo, quando si diffondono indizi e motivazioni per non apparire ciò che si è. Infine si ha la simulazione al positivo, quando qualcuno in modo ingegnose deliberato, finge d'essere quello che non è. (sic. Ndr)
Per difendere l'onore e la credibilità del nostro Paese contro il potere della mafia e dell'organizzazione criminale denominata "cosa nostra", ho personalmente messo a disposizione la mia vita e l'esistenza del mio nucleo familiare: chi scrive e la propria famiglia, da ben 9 anni non vive più nella propria terra e di certo non per una questione di mera testimonianza, ma per la scelta patriottica di una battaglia di verità e giustizia già lunga ben 24 anni, durante i quali le uniche certezze emerse sono la debolezza, le difficoltà e le omissioni delle istituzioni nei confronti di chi, non aveva nessun obbligo professionale e/o motivo personale per scontrarsi frontalmente contro la più infame fra tutte le organizzazioni criminali che la mente umana potesse partorire: "cosa nostra".
Deve essere chiaro. Gioacchino Basile non cerca colpevoli ad ogni costo; cerca quella verità ristabilisce e consolida, l'onore delle nostre Istituzioni Democratiche.
Come Pietro Verri, penso che le responsabilità che in estrema naturalezza si dovessero delineare, dal mio forte e chiarissimo quadro probatorio, non vanno attribuite solo ai singoli Magistrati, ma sopratutto a quella distorta concezione culturale del potere che è sempre la velenosa spina nel fianco della nostra Democrazia, anche se m'affascina la contrapposta e lucida considerazione di Alessandro Manzoni riguardo a quei Magistrati che mandarono a morte degli innocenti:
E’ un sollievo pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di tali fatti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori.

Lettera aperta a Manfredi Borsellino
Caro Manfredi,
quando il tardo pomeriggio di quella maledetta domenica, segnata dalla storia con la data del 19 luglio 1992, appresi dalla televisione della strage di via D'Amelio, la notizia non penetrò l'animo mio solo in termini d'intenso dolore, ma anche come un'atroce beffa che intuivo, ma che non riuscivo ad interpretare con la forza della ragione; era un sentire la beffa, un pensare di comprenderne le ragioni, che però non riuscivano a liberarsi dalla sensazione d'essere forzate dalle mie forti emotività.


Quel giorno, ebbi la tremenda paura, che "le difficoltà" della Procura di Palermo, con la morte di Tuo padre, potessero ritornare arrogantemente in scena.
Di quelle "difficoltà", che si evidenziavano ogni volta che il "modello produttivo" di Fincantieri e le compromissorietà criminali venivano messi in evidenza dalle denunce dello scrivente e dei propri compagni di lavoro, come in passato anche da altri attori dirigenziali e/o imprenditoriali, avevo avuto modo di parlarne, già nel mese di maggio del 1989 ed anche dopo, l'assemblea sciopero del 2 novembre dello stesso anno, organizzata dallo scrivente per denunciare la presenza criminale dentro lo stabilimento navale, con due Magistrati della Procura di Palermo, nei locali del "Coordinamento Antimafia" di cui loro erano simpatizzanti ed io, componente del direttivo.
I due Magistrati che ben sapevano delle "difficoltà" della Procura di Palermo e delle motivazioni che le determinavano, si dicevano scandalizzati ma, pronti ad esercitare il loro ruolo e le loro funzioni contro quel "bieco potere" appena si fosse presentata l'occasione per liberare la Procura dal dominio della DC di Andreotti e di Salvo Lima.
Circa due mesi dopo, (gennaio 1990) scaturiva l'operazione "Big Jhon" che vedeva protagonisti le famiglie dei Galatolo, protagonisti criminali che già molti anni, insieme ai miei compagni di lavoro chiamavo in causa nella qualità di padroni incontrastati dello scenario imprenditoriale dentro Fincantieri di Palermo,dove svolgevano il ruolo "politico della garanzia omertosa", attorno a tutte le attività illecite che scaturivano dagli affari degli appalti e di tutto ciò che era inconfessabile in ogni ordine e grado della vita aziendale e sindacale... A quelle quasi decennali denunce pubbliche e giudiziarie, in quel momento storico s'aggiungevano prepotentemente, le rivelazioni dei "pentiti " che chiamavano in causa i Galatolo, nella qualità "di famiglia" dominante nel territorio interessato; fatti di cui anche la stampa e le tv avevano già dato ampie notizie...
Un anno dopo, quell'intenso "scambio di notizie", uno dei due Magistrati, ebbe la delega per le indagini, in ordine alle mie dichiarazioni di fronte al Pretore del lavoro,che lo stesso invio alla Procura della Repubblica, quando Fincantieri mi licenziò, con la pretestuosa accusa di aver diffamato il suo dirigente principale a Palermo....(dicembre 1990)
Le indagini che in quel momento storico (gennaio1991) si potevano attivare senza che nulla ostasse alla collaborazione da parte mia e dei lavoratori non avrebbero concesso scampo ai Galatolo, ai tanti collusi con "cosa nostra" ed a Fincantieri.
Ma, quel Magistrato, che ben conosceva la mia pubblica storia e ben sapeva dei Galatolo, pur sapendomi reintegrato al lavoro con provvedimento del Pretore a seguito di procedura d'urgenza, non solo, non interrogò mai lo scrivente che poteva reiterare ed arricchirle con fatti, circostanze e nomi, le strategicamente "prudenti" dichiarazioni fatte davanti al Pretore del lavoro, (dove ero stato fortemente condizionato dalla presenza dei legali di Fincantieri che s'avvalsero anche della presenza del figlio di Bruno Contrada di cui (funzionario del Sisde) sapevo da "radio popolo", e di cui personalmente avevo vivo ricordo di scene inquietanti) ma, non indagò nemmeno le dichiarazioni dei "pentiti" in ordine al ruolo dei Galatolo nella borgata marinara e dentro lo stabilimento navale, anche e non ultime, in presenza delle ancora, (in quel tempo) attualissime vicende "Big Jhon" e del libro mastro trovato in casa dei Madonia in via D'Amelio nell'anno 1989.
Quel Magistrato e l'altro suo collega che era anche stato componente del pool Antimafia con Giovanni Falcone, di talché, anche per motivi d'ufficio, sapevano già tantissimo sui cantieri e sugli attori criminali che dominavano la scena: ma, tutto si concluse con una risibile ed indecorosa scelta di rinuncia, che offese la dignità della nostra Costituzione ed il sacrificio di quei tanti eroi (uomini delle Istituzioni) che da più d'un decennio, già morivano per riscattare l'onore della Sicilia e dei siciliani: è utile confermare che dopo questi fatti, i due Magistrati ed in particolar modo quello che aveva fatto parte del pool con Giovanni Falcone, cominciarono a sfuggirmi sfrontatamente, ogni qualvolta avevamo modo d'incontrarci nei Convegni e/o incontri politici organizzati dal "Coordinamento Antimafia", in quel tempo impegnato con "la Rete" di Leoluca Orlando.
Si è trattato di un errore? Una cosa posso dire senza timore di smentita: di così tanti clamorosi errori ed amarissime delusioni è piena la mia storia, anzi la nostra storia. Tutti, proprio tutti, i nostri Eroi prima di essere uccisi dal braccio militare di "cosa nostra" hanno dovuto fare i conti con la "concezione esecutoria della legge" di molti loro colleghi.
Se i Falcone ed i Borsellino, con la semplicità della ragione forzavano quelle "concezioni esecutive", erano accusati di eccessivo protagonismo (sic)!.. Lo stesso hanno fatto e continuano ancora oggi a fare contro di me e le mie ragioni di uomo libero, sindacalisti corrotti, politici ed i tanti lacché del potere ad ogni costo.
Nel corso di un processo penale a mio carico a seguito di querela presentata dal Magistrato fonte dei miei sospetti, (strategicamente costretto alla querela dallo scrivente, per avere sue dichiarazioni in aule e/o luoghi Istituzionali in ordine ai fatti, oggetto dei miei sospetti) Il 6 ottobre 2005, durante l’esame dello stesso nella qualità di persona offesa, mentre rispondeva alle domande del mio avvocato, mi tornavano in mente le parole che (io e lui) ci dicemmo nella sua stanza, alle ore 10 del 16 luglio 1992, quando mi ascoltò nella qualità di persona informata sui fatti, a seguito dell'argomentato e documentato Esposto-dossier che avevo, già informalmente, consegnato in copia a tuo padre la sera del 25 giugno e poi spedito in Procura dietro suo esplicito sollecito lunedì 29 giugno successivo.Dottore, gli chiesi quella voltaha parlato con il Dottor Borsellino?
Si, mi rispose, quel Magistrato, con l'atteggiamento di chi non amava le chiacchiere ideologiche e l'intrusione altrui nel proprio ruolo, però sia ben chiaro, niente politica; solo fatti e nomi dei protagonisti...
Tutto ciò accadeva sotto lo "sguardo neutrale" di altro suo giovane collega che segnò la presenza in quella stanza solo scrivendo al computer e firmando quel verbale contenente fatti e nomi che arricchivano notevolmente quell'Esposto-dossier già consegnato a tuo padre la sera di giovedì 25 giugno 1992 in occasione di un dibattito pubblico organizzato dalla rivista "Micromega" presso la Biblioteca Comunale di Palermo.
Mi raccomando, domani mattina lo spedisca subito in Procura, mi disse quella volta tuo padre, dopo averlo letto e visionato nella sua articolata documentazione allegata:
anche se, non ho la delega su Palermo, nella qualità di Procuratore aggiunto, lo seguirò personalmente.
Quella sera gli occhi di tuo padre, notificarono che era finalmente finita l'impunità di Fincantieri, dei sindacalisti corrotti e di "cosa nostra".
La mattina del 10 luglio 1992, (è cioè, appena 10 giorni dopo la spedizione postale dell'Esposto in oggetto che avevo spedito, lunedì 29 giugno 1992) quando la Polizia mi notificò l'invito a comparire, alle ore 10 di giovedì 16 luglio 1992, innanzi al Magistrato che oggi è l'oggetto del mio sospetto, ebbi la prima inequivocabile conferma che tuo padre era presente ed interessatissimo a quella inconfutabile e dettagliata circostanza giudiziaria.
Quel verbale (16 luglio 1992) deve esistere, e non solo quel verbale... c'è, molto di più dentro la Procura di Palermo in ordine alla mia storia ed a quella di Fincantieri. Vi sono molti di quegli errori che ho il dovere (uti civis) di denunciare fino al definitivo chiarimento dei fatti che formano l'oggetto del mio sospetto e di indicare proprio quegli errori come criticabile frutto della"concezione esecutoria" della legge.
Quegli errori, per più d'un vent'ennio, salvarono dalle responsabilità penali le dirigenze delle Partecipazioni Statali, sindacati ed i politici di quel cosiddetto arco-costituzionale, che attraverso i mai identificati "cerchi concentrici" utilizzarono le "funzioni regolatrici" di "cosa nostra" per assicurarsi l'omertà ambientale attorno agli inconfessabili progetti politico-economici e sociali posti in essere in Sicilia ed al sud più in generale.
A protezione dei patti, riguardanti la Fincantieri di Palermo, fù utilizzata, la capacità intimidatrice e corruttrice della "famiglia" mafiosa che, negli anni 80, si rese protagonista delle stragi di molti uomini delle Istituzioni (vedi Chinnici e Dalla Chiesa) e del mancato attentato all'Addaura contro Giovanni Falcone (con riferimento a questa azione criminosa, su qualsiasi sito web, potrai leggere la sentenza della Corte di Cassazione N 40799 del 19 ottobre 2004) (sic.)
La Procura ed il GIP di Caltanissetta, a seguito delle mie argomentate e documentate insistenze nel proporre il legittimo sospetto che, da ben quattro anni attende d'essere chiarito, avrebbero dovuto quantomeno attivare un minimo d’indagine.Bastava verificare anche a livello minimale, i fatti che lo scrivente aveva esposto e che si riportano di seguito. Ritengo che, in primo luogo, andavano verificate le giustificazioni del Magistrato in oggetto, nei procedimenti penali (voluti con strategica determinazione dallo scrivente) che ci hanno visto contrapposti, recuperare ed esaminare il verbale che ci vide protagonisti alle ore 10 di quel giovedì 16 luglio 1992 e constatare se il contenuto dello stesso unitamente a quello già stigmatizzato nell’Esposto poteva indurlo ad errori di sorta, se tuo padre fosse rimasto in vita.Il Magistrato in oggetto in quel momento storico lavorava già da anni al famoso "libro mastro" trovato in casa dei Madonia in via D'Amelio (1989) ed era informatissimo sulla vicenda criminale denominata "Seat Port" che identificava nei Galatolo e nei Madonia gli autori del traffico di ingenti partite di cocaina trasportate in Sicilia con la nave "Big John", che (sic.) ormeggiava dentro lo stabilimento navale Fincantieri con "il pretesto" di dover fare lavori poi, in gran parte, mai effettuati. In quel tempo, quel Magistrato, così come tutta la Procura di Palermo, godevano del notevole supporto fornito da molti "pentiti" che indicavano inconfutabilmente già da anni i Galatolo nella qualità di padroni socio-criminali del comprensorio territoriale dei cantieri navali e del porto di Palermo (sic.).
Dopo questi primi minimi rilievi investigativi, la magistratura si sarebbe resa conto che il mio sospetto merita attenzione, perchè i decennali errori della Procura di Palermo unitamente agli errori, che dal 16 luglio 1992 hanno visto protagonista il Magistrato in oggetto, hanno finito per favorire "cosa nostra" che continuò ad esercitare il suo potere dentro lo stabilimento Fincantieri almeno fino all'anno 1997, vanificato le mie sofferte battaglie frontali contro i criminali e ucciso la speranza fin dentro la coscienza di migliaia di lavoratori e di decine di migliaia di nostri concittadini.
In buona sostanza, al di là d'ogni ragionevole dubbio in quella precisa circostanza, gli errori di quella Procura di Palermo, non potevano andare in scena, se tuo padre fosse rimasto vivo: Lui era assolutamente, ingovernabile e incondizionabile, in quel momento storico, dal potere politico e dalla mafia che ha il volto delle Istituzioni.
Restando alle risposte evasive, alle troppe contraddizioni, ai” non ricordo” ed alle dichiarazioni assolutamente non corrispondenti alla verità del magistrato in questione, in ordine all’esposto del 29.6.1992, appare chiarissimo che nessuno mai gli aveva posto alcuna domanda in merito, malgrado le precise e pressanti richieste di verità e giustizia che avevo posto all'attenzione della Procura di Caltanissetta, già dal successivo mese di febbraio dell'anno 2003, anche a costo di mettere in discussione la mia patriottica onorabilità e le mie risorse economiche. Ma, ne è valso i rischi ed i costi, perchè adesso ho conferma documentata delle "pesantissime difficoltà" che ha quel magistrato, quando lo si costringe ad entrare dentro lo scenario del mio legittimo sospetto.Quando, il 19 luglio dell'anno 2003, ti ho contattato per parlarti del mio terribile sospetto, che poi ho meglio argomentato in un nostro successivo incontro a Palermo nel tuo ufficio presso la Polizia Postale, ti dissi che da voi familiari m'aspettavo la pretesa della verità, senza per questo essere costretti a fare una scelta di campo fra me e quel Magistrato.
Se esiste ancora almeno un pezzo importante della magistratura in cui ho creduto, che è quella a cui tuo padre e tanti altri uomini delle Istituzioni hanno donato la loro vita, una delle tre possibili verità deve venir fuori con esemplare e cristallina trasparenza.
La prima ipotesi, a mio avviso vedrà acclarate le mie ragioni e ci condurrà con estrema naturalezza per mano al movente, allo scenario ed ai protagonisti delle Istituzioni che ordinarono la strage di via D'Amelio per ragioni politiche e quindi di Stato.
La seconda ipotesi, è quella che potrebbe vedermi protagonista d'una calunnia contro qualcuno e contro le Istituzioni democratiche; in questo caso non meriterei alcuna clemenza, né umana che giudiziaria (sic.).
La terza ipotesi, che alla luce dei fatti storici e giudiziari appare la più debole, è quella che pezzi importanti della Procura di Palermo, (intendo di quella che ha operato dall'anno 1982 fino all'anno 2000), abbiano storicamente sbagliato tutti in buona fede. Tale opzione ermeneutica, per essere sostenibile, postula che si faccia chiarezza in modo preciso sulla condotta e sulla motivazione delle erronee ragioni dell’agire di dette istituzioni per dare modo a tutti i cittadini di avere ancora fiducia nelle Istituzioni.Il difensore di quel Magistrato, per bloccare le indagini contro il suo cliente, non ha esitato a evidenziare l'amicizia che ha con la vostra famiglia e che aveva con tuo padre. Fermo restando il suo legittimo ruolo di difensore, non credo sia giusto che voi vi siate saziati solo del convincimento professionale d'un avvocato che, proprio perchè amico di tuo padre a mio avviso, aveva il dovere di capire. Egli sapeva benissimo a cosa miravano le mie documentate contestazioni al suo cliente quando il riferimento di esse si dirottava inesorabilmente a quel 16 luglio 1992 e ad altri fatti a quello collegato; nondimeno, egli ha continuato ad opporsi duramente alla mia richiesta d'indagini, chiedendo l'immediata archiviazione della mia querela contro il suo assistito. (sic.)
Questa argomentata lettera aperta, promuove la speranza che voi tutti, parenti delle vittime facciate un passo avanti, chiedendo con forza che la Magistratura rimuova "le concezioni esecutorie" e metta in moto l'ipotesi investigativa, indicata dallo scrivente, che ha grandissime probabilità di portarci a quel movente che accerta definitivamente la verità, sulla strage di via D'Amelio, senza offendere l'intelligenza umana.
Per capire basterà leggere attentamente la relazione conclusiva e le indagini fatti dalla Commissione Antimafia, in ordine ai fatti che riguardano la mia storia e leggere la Sentenza N3/2000 (N.9/98 R.G.C.A.), Presidente dott. Claudio Dell'Acqua: solo dopo si comprenderà perchè non posso arrendermi agli errori del Magistrato, ai suoi “non ricordo” e/o alle sue contraddizioni ed alle sue affermazioni che non corrispondono ai fatti; affermazioni che ho contrastato documentalmente, in sua presenza e senza che lui e/o il suo avvocato reagissero in qualche modo innanzi al GIP di Caltanisseta; chi vuole capire in questo sito Web, troverà tutto quello che serve.Grazie ai due procedimenti penali scaturiti dai miei scritti (esposto dd. 19.12.2001 e comunicato stampa dd. 29.4.2002), ho ormai imprigionato a verbale le sue dichiarazioni rese in sede giudiziaria, tanto nella sua qualità d'imputato, che quelle dallo stesso rese quale testimone e parte offesa: quei troppi errori, oggi malamente "giustificati" in sede giudiziaria, unitamente alle omissioni del Questore e del Prefetto di quel tempo (anno 1993), tracciarono il percorso della morte civile dalla quale mi salvò un Magistrato che Istituzionalmente ha il volto di tuo padre: costui si chiama Luigi Patronaggio.
Ma c'è ancora di più. Dopo che il Presidente della Commissione Antimafia inviava, fra gli altri, anche alla Procura di Palermo, l'esito delle indagini Giudiziarie e le sue conclusioni che, unitamente alla mia lunghissima deposizione in sede Processuale ed a quella di altri testi, chiamavano in causa la dirigenza di Fincantieri, il Magistrato in oggetto, (rientrato in scena al posto (sic.) del valoroso Dottor Luigi Patronaggio costretto ad uscire di scena per fatti che Lui potrebbe spiegare meglio di me), aveva il dovere di approfondire quelle indagini e perseguire proprio quei reati che, la predetta istruttoria parlamentare evidenziava in modo preciso e clamoroso.
Ma lui, l'esperto di questioni mafiose e criminali di quella Procura, continuò a seguire la propria "ipotesi investigativa". (sic.)
L’indagine basata su "tale ipotesi accusatoria" ha finito, nei fatti, per salvare i dirigenti Fincantieri, non consentendo alla Corte D'Assise (era in pieno svolgimento il Processo contro i Galatolo ed i loro compari criminali) di comprendere efficacemente il livello compromissorio fra la dirigenza di Fincantieri e "cosa nostra"; a pag. 165 della sentenza N. 3/2000 (N. 9/98 R.G.C.A.) i Giudici fra le altre dure considerazioni, scrissero: il PM ha prodotto gli altri documenti sequestrati dalla Commissione Parlamentare Antimafia, ma mancano quelli precedenti trasmessi dall'azienda a tale autorità; documenti questi ultimi che sarebbero stati altrettanto utili sopratutto ai fini d'una più approfondita verica delle fasi iniziali dell'operazione (delle tavole N.d.A.). Ad ogni modo, anche grazie alle altre risultanze dibattimentali è possibile rendersi conto di come anche la versione consegnata dal citato "promemoria", benchè più aderente alla documentazione "ufficiale" di quella fornita dall'ingegnere Cipponeri, incorra in una serie di rilievi e presenta tante di quelle incongruenze da risultare del tutto inattendibile e tale da alimentare sospetti reali sui contorni dell'operazione.”Ancora una volta, "l’ipotesi accusatoria" formulata da quel Magistrato non aveva aiutato la verità ad emergere in tutta la sua portata; eppure, se quel Magistrato lo avesse voluto, poteva, nella sua qualità di parte processuale imparziale, produrre la relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, frutto di adeguate indagini Giudiziarie ordinate dal Presidente ed approvata all'unanimità (anche da parte di quei Commissari,Senatori e Parlamentari palermitani che militando nella sinistra storica ben conoscevano e ben tacevano sulla mia scomoda storia) nel gennaio del 1999, nella quale i Giudici avrebbero potuto leggere in modo compiuto e cristallino cosa era veramente accaduto sia in ordine all'operazione tavole (Esposto del 29 giugno 1992), sia in ordine alla querela nei miei confronti che il direttore Antonino Cipponeri aveva già ritirato di sua spontanea volontà un anno prima (gennaio 1998), senza essere indotto a ciò da parte di alcuno, che alla clamorosa convergenza d'intenti che si legge negli atti e nell'agire di "cosa nostra", Fincantieri e pezzi importanti delle Istituzioni per ottenere il mio licenziamento...(sic.)Lo stesso PM però, molto ligio al suo dovere e ottimamente preparato professionalmente, mette a disposizione dei Giudici il contributo del "pentito" Giusto Di Natale, che cominciò a collaborare nel febbraio 1999....è cioè un mese dopo che la Commissione Antimafia relazionava e informava ufficialmente la Procura di Palermo, anche sulle indegne omissioni emerse fra alte figure Istituzionali, Prefetto e Questore (sic.) contro le mie ragioni ed a favore dei dirigenti Fincantieri e di "cosa nostra"!...
Il pentito ex imprenditore parla del "pizzo" impostogli dai Galatolo ma tace delle sue relazioni interne all'azienda dove prestava l'attività di costruttore edile (sic.).
Dunque il Magistrato non informava il Tribunale dell'esito delle indagini della Commissione Antimafia, (le stesse indagini che lui avrebbe dovuto attivare nel mese di luglio del 1992, se tuo padre restava in vita e che la Procura di Palermo non ha mai fatto sic.) che rendevano palese lo scenario compromissorio fra Fincantieri e "cosa nostra", ma utilizzava altri successivi strumenti d'accusa come l'incerta attendibilità del "pentito" dell'ultima ora per confermare la sua attività accusatoria, che appare tesa a fare emergere quella discutibile verità che salva Fincantieri ed i suoi compari della politica.
Se è vero, come lo è, che anche un mafioso quando svolge attività imprenditoriali in altre zone governate da altri "suoi pari" deve riconoscere alla famiglia interessata una somma così detta "pizzo", perchè mai i dirigenti Fincantieri non hanno mai denunciato tale prassi criminale che avrebbe dovuto vedere vittima anche la stessa azienda?..
E perchè Fincantieri s'è scagliata tanto indegnamente e fino alle estreme conseguenze contro quel suo leale dipendente, che inizialmente (anno 1982) è entrato dentro l'infernale scenario esistenziale, nel solo intento di solidarizzare con quello che appariva il coraggio umano e imprenditoriale del massimo esponente dello stabilimento di Palermo?...
Se i Giudici avessero avuto il giusto quadro compromissorio del contesto aziendale operante all’interno della Fincantieri, si sarebbero posti questo logico interrogativo e di ciò avrebbero chiesto conto anche al pentito Giusto Di Natale, che dall'anno 1995 svolgeva attività imprenditoriale ed era pertanto gradito dentro il contesto Fincantieri.Giusto Di Natale, dopo esser caduto nelle maglie della legge, per paura delle minacce di morte dei suoi accoliti "umani e culturali" che pretendevano il pagamento del "pizzo" concordato, accusa solo i suoi compari criminali: questa "testimonianza" nei fatti diviene funzionale a salvare Fincantieri e la sua dirigenza palermitana, perchè sbilancia e/o meglio non rafforza le dichiarazioni penetranti e veritiere, ma scomode (sic.) del "pentito" Onorato Francesco, sapendo che a pag. 141 della sentenza, si legge che:
così come assai significative risultano le indicazioni del collaboratore (Onorato Francesco) in ordine alle molteplici convivenze nella Fincantieri e nel sindacato che favorivano l'operato dei Galatolo ed i loro interessi.
Diffondendosi su tali tematiche, egli non ha mancato di fare i nomi dei collusi, ha descritto per esperienza diretta situazioni in cui i funzionari dell'azienda si erano mostrati pronti ad esaudire i desideri dei Galatolo e ha fra l'altro aggiunto, di avere appreso, più recentemente in carcere da Pino Galatolo, che anche il direttore era dalla loro parte. Le informazioni in questione risultano talvolta riscontrate dalle dichiarazioni del Basile e dalle altre emergenze già esaminate in altri casi perfettamente compatibili con il complessivo quadro probatorio, essendo peraltro logico che l'Onorato, avendo operato nello stesso ambiente mafioso dei Galatolo, abbia potuto acquisire conoscenza su sviluppi e su retroscena ignorati o solo in parte percepiti da Basile.
Se il Tribunale, fosse stato informato dell'esito delle indagini giudiziarie compiute dalla Commissione Antimafia, avrebbe potuto riconoscere il risarcimento per i danni d'immagine a Fincantieri?... Si sarebbe potuta consumare tanta indecenza Giudiziaria?...
Ma poi, a seguito delle dichiarazioni e dei nomi indicati dal "pentito" Francesco Onorato, quali indagini, che hanno dignità di tale definizione, ha fatto quel PM?..
Quando il Magistrato oggetto del mio sospetto, nella qualità di persona offesa, in sede Giudiziaria, in palese difficoltà ha dichiarato che:"gli appare poco credibile, il fatto che, Paolo Borsellino poteva essere interessato al mio Esposto perchè ormai lui viveva solo per scoprire chi aveva ordinato la strage di Capaci" ha confermato di sapere (sic.)che sospettavo di lui e sottolineato, inconsapevolmente, un movente importantissimo.
L'Esposto in oggetto, in quel contesto storico, entrava nel cuore dello scenario tangentistico e criminale delle Partecipazioni Statali in Sicilia (sic.).
Con quell'Esposto si mettevano Fincantieri, il sindacato e la politica consociata di fronte alle proprie responsabilità in ordine a quella trasversalità politica che corrompe il sistema democratico e riconosce ruolo politico alle "funzioni regolatrici" del crimine nella nostra terra, ed sud del nostro Paese più in generale.
L'Esposto del 29 giugno 1992, non metteva in piena visibilità solo i fatti stigmatizzati e documentati in esso, ma apriva scenari compromissori mai esplorati, come quelli della SPA Anonima Cantieri Navali di Palermo (sic.), la subdola circostanza che vide passare nelle mani dei mafiosi, un terreno da un decennio richiesto a qualsiasi prezzo da noi lavoratori, nel quale volevamo costruirci le case in Cooperativa con i mutui Regionali: quel terreno, abbiamo saputo poi da notizie stampa, fù poi venduto (così come si ventilava già agli inizi degli anni 80 ) a Camillo Graziano (cognato del "pentito" Onorato e figlio di costruttori legati a "cosa nostra" ed al mafioso Alfano per la cifra di circa un miliardo e mezzo delle vecchie lire: i due l'ebbero espropriato, 15 giorni dopo dal Comune di Palermo, (sic.) per il doppio della cifra forse mai pagata, (sic.) a Fincantieri .
Stiamo parlando di quei Casermoni senza pace, siti in costruzione da più d'un decennio in via Ammiraglio Rizzo a Palermo, che da sempre sono oggetto di dispute Giudiziarie, che inizialmente videro protagonisti, l'allora Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, "mio buon amico"(sic.), ed il suo vice Lo Vasco; fatti che ad un Magistrato attento ed onesto e/o a tuo padre, avrei potuto spiegare e documentare pittoricamente se fosse rimasto in vità: elementi inconfutabili che avrebbero costretto tuo padre ad interrogarsi, oltre che ai motivi che avevano sempre vanificato le denunce di noi lavoratori, anche sul perchè quella Procura aveva indagato sù quelli che appaiono (sic.)"gli stupidi acquirenti" e mai i "presunti venditori" (Fincantieri) che tempestivamente aveva venduto (forse) ai mafiosi: il forse e d'obbligo perchè radio cantieri navali da un decennio diceva che quel terreno era una contropartita ai servizi resi da "cosa nostra" a Fincantieri: e, "dulcis in fundo" quella che appare una stupida (sic.) transazione fatta a danno dell'interesse patrimoniale dell'azienda e quindi anche dei contribuenti, avvenne anche con la reggenza, Antonino Cipponeri. (sic.)
Ma non era finita lì, c'era ancora di più ed andava in scena proprio in quei giorni: lo scempio ambientale di cui presentai denuncia all'autorità di merito, poco meno d'un anno dopo (1993 documentando il tutto con inoppugnabili foto) e la sparizione dell'amianto eseguito da "cosa nostra" per conto di Fincantieri... Ma, questa è una ciliegina che non voglio bruciare; al momento opportuno e nella sede politico istituzionale, se potranno esistere le condizioni, spiegherò come hanno fatto, prima la Procura che in quel caso aveva il volto di una donna in carriera e poi il Pretore che ha pure il volto di una donna in carriera a sbagliare, facilitando le conseguenze Processuali a Fincantieri ed a salvare "cosa nostra" dalle sue responsabilità.
Per capire quanto fu, è forse, quanto ancora è potente quel "governo invisibile" che s'impone alle leggi Democratiche ed alla nostra Costituzione, dovresti documentarti sulle storie di tanti onesti e valorosi Magistrati: Agostino Cordova, Giuseppa Geremia, Michele Coiro, Procuratore Capo a Roma, e tanti altri, ai quali proprio subito dopo quel contesto storico fu letteralmente impedito di recitare il proprio ruolo Istituzionale.
Spero che Tu conosca il valoroso ex Giudice Istruttore e poi Senatore della Repubblica, Ferdinando Imposimato, che nella qualità di commissario della Commissione Antimafia, nell'anno 1993-94, entrò nel cuore dei rapporti economici esistenti tra imprenditori, politici e criminalità, con una relazione conclusiva che proprio in quella massima sede politico istituzionale, mai venne discussa.
Fra i maggiori oppositori al Senatore Imposimato troviamo proprio quelli che in quel tempo si sono fatti spazio nei palazzi del potere, imponendosi nella qualità di antimafiosi per eccellenza. (sic.)
Quando il mio percorso esistenziale per la prima e l'unica volta incrociò la strada di tuo padre, eravamo già in piena tangentopoli. In quel momento storico Iri, Eni, imprese controllate dalla Fiat ed altre componenti del potere economico nazionale, erano impegnatissimi sul fronte dell'alta velocità (TAV. SPA costituita il 19 luglio 1991). Per quest'altro pesantissimo indizio, vorrei consigliarti di leggere "Corruzione ad Alta Velocità, edito da KOINè e scritto da F. Imposimato, G. Pisauro e S. Provvisionato.
I Magistrati citati ed i tanti altri di cui non abbiamo notizie in "virtù" del potere del "governo invisibile" (sic.), furono fermati ed isolati ma, ti chiedo: chi, dopo la strage di Capaci e in quel momento storico, se non la morte, poteva fermare Paolo Borsellino?
Tu stesso, m'hai confermato che non ha mai trovato fra le cose di tuo padre quel dossier-esposto che lui mi chiese in copia la sera di giovedì 25 giugno, nell'atrio della Bliblioteca Comunale, dopo che ne aveva preso visione.
La foto di tuo padre, testimonia la presenza dell'Esposto dossier che ricevette dalle mie mani, la sera del 25 giugno 1992: in quel momento aveva già finito di leggerlo e lo aveva poggiato sul tavolo: le immagini tv invece debbono testimoniare, la mia presenza alle sue spalle e la sua attenta lettura del documento che gli avevo consegnato.
La sorte ha portato alla mia attenzione una lunga sequenza di indizi per affrontare la disperata ricerca della verità su via D'Amelio in ordine alla concreta possibilità della presenza del mio esposto tra i documenti, che tuo padre aveva con sé al momento della morte, ovvero anche alla possibilità che sulla sua mai trovata agenda rossa fossero contenuti appunti di merito; da ultimo, attraverso notizie stampa, oggi sappiamo di un'altro importante e pesante indizio che vede protagonista un Capitano dei Carabinieri.
Da notizie stampa, ho appreso che questi, presente sul luogo della strage di via D'Amelio nell’immediatezza del fatto, affermerebbe d'aver trovato e consegnato la borsa di Paolo Borsellino a tre Magistrati fra i quali figura il Magistrato oggetto del mio sospetto: questi nega la circostanza.Del pari detta circostanza, viene negata da altro Magistrato il quale, guarda caso, già nell'anno 1982, poteva ben agire contro la presenza criminale dentro lo stabilimento Fincantieri di Palermo. Ma quelli erano i tempi in cui il Procuratore Generale Pizzillo aveva consigliato a Rocco Chinnici di onerare Giovanni Falcone di procedimenti per furti, scippi e rapine, prima che quest'ultimo riuscisse a mettere in ginocchio l'economia siciliana. (sic.)
Per contro, Giuseppe Ayala, conferma quanto affermato dal Capitano dei Carabinieri che ancora oggi, come da notizie stampa, deve però spiegare il comportamento tenuto nell’immediatezza della strage di Via D’Amelio proprio in ordine alla borsa di tuo padre.In questi ultimi mesi sono emersi altri fatti che vedono ancora protagonista il Capitano Giovanni Arcangioli il quale sarebbe stato ripreso da immagini tv mentre tornava a riporre la borsa di tuo padre dentro l'auto blindata; ma, nessuno ci ha ancora spiegato perchè si è cominciato indagare, sull'agenda e la borsa di tuo padre, solo dopo 13 anni pur essendo stati, questi incontestabili sospetti avanzati, subito dopo la strage, da voi familiari.
In questi ultimi anni, rileggendo i miei quaderni a futura memoria, mi sono insistentemente chiesto: Ma può rispondere al vero che la riduttiva e/o limitata ipotesi investigativa formulata da quel Magistrato nell'anno 1982, che nei fatti, salvò “l'apparentamento" fra "cosa nostra" e Fincantieri, fu possibile solo dopo che uscirono dalla scena Istituzionale ed esistenziale, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici?...In quel tempo, (durante l'importante attività investigativa in merito ad un duplice omicidio di mafia) quel Magistrato aveva a sua disposizione tre punti di forza investigata di notevole importanza:
l'arresto in quasi fragranza di reato, di due killer di "cosa nostra" Francesco Bonura e Stefano Fontana, arrestati poco dopo che avevano portato a termine insieme ad altri loro pari l'assassinio di due giovani in via G.E. Di Blasi;
la denuncia per minacce da parte del direttore di Fincantieri Giuseppe Cortesi, che aveva fatto scattare l'arresto dei boss e dei loro comagni di merenda;
una lettera anonima,(pubblicizzata dai giornali "L'Ora" ed il Giornale di Sicilia") che fu utilizzata impropriamente nel processo contro i due killer, ma mai, investigata negli inequivocabili legami indicati fra i due killer e gli attori criminali e pseudo imprenditoriali, che di fatto già da molti anni avevano consolidato il loro potere e controllavano le attività produttive dentro lo stabilimento di Fincantieri a Palermo.
Il Processo contro i due killer si concluse con la loro assoluzione; furono condannati solo per le armi che trovarono nella loro auto.
I coraggiosi poliziotti che li avevano arrestati dopo un pericoloso inseguimento, scaturito subito dopo l'agguato mafioso, furono additati dai potenti avvocati dei killer, come "personaggi in cerca d'autore" perchè (ed avevano ragione) insistevano duramente nel confermare, che quei due erano fra i killer che avevano ucciso i due giovani....
E’ bene ricordare: per la strage di via Isidoro Carini (Generale Dalla Chiesa) e per quella di via Pipitone Federico (Rocco Chinnici), è stato condannato Vincenzo Galatolo (sic.).Quella lettera anonima che, chiedeva espressamente d'esser portata a conoscenza del Generale Dalla Chiesa, essendo divenuta un atto pubblico perchè inserita in un Processo, non poteva sfuggire all'attenzione del Generale, e più specificamente del Giudice Istruttore Rocco Chinnici: e dunque molto probabile che i due fossero interessati agli sviluppi del mafioso, duplice omicidio avvenuto in via G. E.Di Blasi.
E bene sapere che, il Magistrato che forma il pesante dubbio in questi righi, fù negli anni successivi Processato per reati commessi contro l'onorabilità di Giovanni Falcone...
Ma c'è ancora molto di più: mercoledì 13 dicembre 2005, seguendo la trasmissione televisiva "Ballarò" ho potuto ascoltare un (più volte) ex Ministro della Repubblica che, per fregiarsi di "amicizia" con tuo padre, ha affermato che 48 ore prima della strage, insieme ad altri due Magistrati, cenò con lui.
Quella notte mi sono insistentemente chiesto: perchè questo ex Ministro della Marina Mercantile, che in quel tempo (1992) era in strettissimi ed ottimi rapporti con Fincantieri ed il suo direttore di Palermo, Antonino Cipponeri e godeva ampiamente della stima dei Galatolo e della loro accozzaglia criminale e imprenditoriale (e forse non solo quella) alla vigilia della strage ebbe tanta attenzione per Paolo Borsellino?...
E possibile che anche lui, nei giorni che precedettero la strage e prima che si decidesse l'infame operazione, fosse stato impegnato nel dissuadere il nostro Eroe dall’approfondire un'indagine, che entrava dentro lo scenario mai seriamente esplorato delle Partecipazioni Statali?....Collegando "questa cena" ad altri fatti accaduti in quegli anni che vedono protagonista l’ex Ministro in oggetto, di cui il più clamoroso è quello che lo vide protagonista nell’episodio del mese di febbraio del 1990 in cui lo stesso Ministro "dissuase" (sic) pubblicamente la Procura di Palermo, dall'indagare all’interno dello stabilimento Fincantieri e nel porto di Palermo in relazione al caso poi noto come "Big Jhon", fatti, peraltro, accertati, anni dopo le mie pubbliche denunce anche giudiziarie, sostenute dai miei compagni di lavoro. Il quadro che si presenta appare più che inquietante.L’ultima iniziativa pubblica mia e dei miei compagni di stabilimento in ordine di tempo era stata l’assemblea sciopero del 2.11.1989 con la quale denunciavamo pubblicamente la presenza ed il condizionamento criminale dentro lo stabilimento navale di Palermo.(sic.)Verrebbe quasi da affermare che quel Ministro, con la sua figura Istituzionale, giustificava e garantiva pubblicamente, l’insindacabilità della Procura di Palermo, quando, anche in presenza dei fatti notificati dall'attività giudiziaria che convergevano clamorosamente con le denunce pubbliche e giudiziarie, già da anni sostenute da noi lavoratori, ultima in ordine di tempo quella del 2 novembre 1989 e cioè circa due mesi prima che scoppiasse il caso "Big Jhon" e le ormai pubbliche accuse notificate dai "pentiti" non intravedeva alcuna ipotesi di reato, che richiedesse l'attivazione di investigazioni tese a chiarire se esistevano convivenze fra sindacalisti,dirigenti Fincantieri e "cosa nostra" sapendo che quella nave era stata ospitata dentro lo stabilimento navale. (sic.)In quei giorni (7.3.1990), risposi pubblicamente al Ministro chiedendogli, a mezzo della stampa, per quale ragione doveva essere ascoltato lui dalla Procura di Palermo e non, invece, i lavoratori dello stabilimento Fincantieri, quotidianamente a contatto con i fatti denunciati ovvero chi, come chi scrive, quei fatti denunciava già da un decennio.
Questa mia pubblica richiesta, come da prassi consolidata non ricevette la risposta del Ministro o l’attenzione della Procura di Palermo, ma le minacce dei mafiosi, l’espulsione dalla FIOM CIGL e, successivamente, anche il licenziamento (sic).Ad arricchire e non a completare l’inquietante quadro tracciato, va aggiunto l’invito al Viminale rivolto dal Ministro dell'Interno a tuo padre mentre si trovava a Roma e stava interrogando Gaspare Mutolo. Invito che si concluse con grave disappunto per tuo padre che, giunto sul posto, non trovò il Ministro, in base alle testimonianze del tenente Canale e dello stesso Mutolo, ma il capo della Polizia Parisi e, "dulcis in fundo" Bruno Contrada.Di questo ex Ministro, poi uscito di scena per fatti giudiziari e rientrato nell'anno 2001, ripresentandosi nella qualità di Senatore Antimafioso (sic.) c'è molto di più da chiarire...
In questi giorni, mentre m'apprestavo a portare i documenti in mio possesso ed i miei scritti a futura memoria in luogo che spero sia sicuro, mi sono imbattuto in una nota del Magistrato che consolida il mio sospetto con la quale invitava il Servizio Centrale Protezioni a portarmi per le ore 16 dell'11 maggio 1998, presso i locali della Criminalpol di Bologna, dove lui si recava per altra attività istruttoria; era rientrato in scena sul caso Fincantieri, al posto del Dottor Luigi Patronaggio.
Quel pomeriggio fui sorpreso dalla sua affabile amicizia, (era totalmente diverso da quel giovedì 16 luglio 1992) e più che a fare il verbale di rito, era tutto preso dall'informarmi d'esser stato ascoltato in Commissione Antimafia, dove aveva detto pane al pane e vino al vino nei confronti del sindacato e di Fincantieri... (sic.)
Ma scusa, gli dissi quella sera a Bologna perchè nel 1992 pur avendo avuto la mia piena disponibilità, oltre che nell'Esposto anche a verbale, non hai fatto poi estirpato la presenza di "cosa nostra" e le compromissorietà sindacali e aziendali con i criminali che si erano consolidati dentro lo stabilimento navale?...
Lasciamo perdere... tagliò corto quella volta, rispondendomi come chi non vuole parlare dei condizionamenti subiti all'interno della Procura di Palermo.
Il 6 ottobre us., sotto giuramento a Caltanissetta, dopo aver detto cose in evidente contrasto con i fatti accertati, ha anche affermato di non ricordare nulla, mettendo in dubbio anche il fatto d'avermi convocato ed interrogato quel 16 luglio 1992!!...
Quel nuovo atteggiamento (11 maggio 1998), e quella risposta che non ammetteva repliche, anziché sedare l'animo mio,(quel giorno) lo rese più irrequieto: l'uscita di scena di Luigi Patronaggio, al quale speravo di esporre quel dubbio lungo quasi 6 anni, m'inquietava pesantemente. Luigi Patronaggio, uno dei Magistrati più prestigiosi e capaci della Procura di Palermo, lasciava tutto e andava a fare il Pretore a Bagheria per non cedere all'imposizione politica di quella Procura, e lui, il Magistrato oggetto del mio sospetto, nelle dichiarazioni davanti al GIP e al Tribunale di Caltanissetta, quella scelta di dignità Istituzionale l'ha indicata come trasferimento d'ufficio!!... (sic.)
Ma le sospettose ricadute delle "scelte investigative" della Procura di Palermo non erano finite. La più sconcertante, quella più visibile, che fece indignare la città ed allontanare molta gente dalla voglia di riscatto civile è stata la seguente: ancora una volta la Procura della Repubblica di Palermo, che aveva il volto di questo Magistrato, nel presentate le proprie fonti di prova nel processo volto ad accertare la presenza mafiosa all’interno dello stabilimento Fincantieri di Palermo, lasciava fuori dal novero delle persone offese Gioacchino Basile, l'unico che da un ventennio si batteva contro "cosa nostra" ed i suoi padroni politici ed imprenditoriali, l'unico che aveva pagato (insieme a tutta la sua famiglia), i prezzi altissimi, che ne erano conseguiti, veniva escluso dal processo contro "cosa nostra" in quanto non legittimato a costituirsi parte civile....Possiamo dirlo che questo errore somiglia moltissimo ad una beffa?...
Per contro, Fincantieri che per almeno venti anni aveva clamorosamente utilizzato le "funzioni regolatrici" di "cosa nostra", veniva accolta fra le parti offese.
Possiamo dire che tale "ipotesi investigativa della Procura che vedeva protagonista il Magistrato, principale attore del mio sospetto, somiglia troppo all'inganno?....
L'escludermi quale parte civile in quel processo, agevolò le testimonianze false e/o tendenziose tese a screditarmi per salvare il gruppo dei giovani criminali e la dirigenza Fincantieri, senza che per questo potessi reagire in alcun modo all’interno del processo.Questo stato di cose mi richiamò alla mente le parole di Giancarlo Caselli:
Gioacchino, mi disse quella volta devi convenire che dobbiamo necessariamente salvare Fincantieri Nazionale da questa catastrofe giudiziaria... c'è di mezzo il pane di decine e decine di migliaia di lavoratori...
Se questo non significa impunità, per quelli che nei loro ruoli e nelle loro funzioni, imprenditoriali, sindacali e politici, hanno coperto e/o convissuto con "cosa nostra", sono d'accordo con Te... gli risposi quella volta.
Ero profondamente deluso da Giancarlo Caselli: lui dopo aver ricevuto a mezzo raccomandata una lettera di sollecito investigativo, da parte di circa 170 studenti Universitari di Padova che avevano saputo della mia storia e dello scandaloso silenzio politico-istituzionale che la opprimeva. A seguito della lettera sottoscritta da quei studenti universitari, (primi giorni di settembre 1993) qualche mese dopo, (novembre dello stesso anno) mi affidò ad una PM della Procura di Palermo che si rifiutò letteralmente di mettere a verbale le cose che io esposi e lei fece finta di ascoltare. Debbo purtroppo confermare, che quella PM era in palese difficoltà e sfuggiva al suo dovere Istituzionale, rimandando la verbalizzazione di quelle mie dichiarazioni, ad un mio successivo incontro, con Giancarlo Caselli, mai avvenuto...
Quella volta (anno 1996), Luigi Patronaggio, vincendo le mie resistenze (non volevo incontrare quello che m'appariva un "eroe di carta") ci fece incontrare per la prima volta. Giancarlo Caselli, malgrado le tue buone ragioni, merita rispetto... mi disse quella volta, quel Magistrato che, anche umanamente e degno di tali funzioni Istituzionali.
L'uscita di scena del PM Luigi Patronaggio ebbe come effetto quello di lasciare, libertà investigativa "all’ipotesi accusatoria" della Procura di Palermo ed "agevolare" quegli errori del Magistrato in oggetto, che non hanno consentito al Tribunale di accogliere la mia richiesta di parte civile, pur sapendo che quel processo nasceva da altro procedimento penale che mi vedeva vittima ed aveva visto condannato quel Vito Galatolo che la sera dell'8 marzo 1995, insieme ad altri 5 o 6 suoi accoliti, mai identificati, venne a minacciarmi duramente per vendicare Antonino Cipponeri, direttore di Fincantieri... (sic.)Quel giorno più che arrabbiarmi mi vergognai per aver creduto nella Procura della Repubblica di Palermo.
Ero e sono convinto che quelle "scelte investigative" furono imposte a Giancarlo Caselli: solo per questo la mia uscita di scena dal Processo contro i Galatolo e la loro influenza criminale all’interno dello stabilimento Fincantieri di Palermo, si chiuse senza che lo scrivente sporgesse denuncia per tale episodio nei confronti di quella Procura!Il rispetto nei suoi confronti è rimasto integro, anche se i suoi inconsapevoli cedimenti ideologici, hanno, negato speranza alla giustizia. La mia stima per Caselli è testimoniata dal fatto che è stato fra i primi ha sapere del mio, velenoso e motivato sospetto.
Nell'anno 1998 i fatti del 16 luglio 1992, erano ancora saldamente relegati a livello del velenoso dubbio, che non volevo accettare, anche se avevo voglia di liberarmene da tempo: avevo pensato di farlo parlandone con Giancarlo Caselli (anno 1993) ma lui, al momento giusto, mi assegnò ad altro P.M.; poi nell'anno 1994 avevo pensato di poter confidare il mio pernicioso dubbio al Dottor Alfredo Morvillo, cognato di Giovanni Falcone.
Per agganciare il Dottor Alfredo Morvillo mi esposi fino al punto di fornirgli le foto che dimostravano l'esistenza della saletta riservata presso il ristorante "il Delfino" di Sferracavallo a Palermo, indicato da un "pentito" come luogo d'incontro fra Bruno Contrada ed esponenti mafiosi, ma, neppure in tale occasione fui fortunato perchè quelle prove (foto) dovetti consegnarle poi al Capitano dei Carabinieri Bruno: in effetti un primo incontro diretto con Alfredo Morvillo, per quel fatto, l'avevo avuto, ma avevo bisogno di guadagnarmi la fiducia del cognato di Giovanni Falcone prima d'entrare nel merito d'un fatto così delicato e importante.
Quando finalmente nell'anno 1996 incontrai sulla mia strada quel Magistrato che Istituzionalmente ha il volto di tanti nostri eroi, si fece prepotentemente largo la speranza di poter esporre il mio dubbio alla persona giusta; ma volli attendere che si formasse il giusto convincimento attraverso le indagini dallo stesso già iniziate.
C'è tempo, mi dissi quella volta non è il caso di mettere troppa carne al fuoco... In quei giorni avevo intuito che Luigi Patronaggio era già sotto forte pressione...
A questo proposito mi piace ricordare un momento molto significativo di quei giorni.
Il 19 febbraio 1996, "cosa nostra" nella persona di Vito Galatolo, nell'intento d'intimidirmi e costringermi a ritrattare, incendiò e/o fece incendiare la vetrina del negozio di mia moglie.
Quando mi recai in Procura per verbalizzare la denuncia ed i sospetti che vedevano protagonista il Vito Galatolo, Luigi Patronaggio mi chiese: Gioacchino, ma se come affermi, il negozio l'ha incendiato e/o fatto incendiare "cosa nostra", perchè prima di arrivare tu, nel mio ufficio sono arrivati gli avvocati di Fincantieri per chiarire che l'azienda non ha alcun collegamento con l'atto intimidatorio?!!!.. (sic.)
Prima che Luigi, finisse di commentare l'anomala pressione che somigliava tantissimo alla prima gallina che aveva fatto l'uovo, scoppiammo in una forte e liberatoria risata, senza far seguire alcun commento; finalmente ero tornato alla fiducia ed alla speranza, che la Verità e la Giustizia potessero affermarsi anche contro Fincantieri.
Non sapevo ancora che, attraverso l'errata valutazione di attori importanti della Procura di Palermo, l'arroganza Istituzionale a favore delle Partecipazioni Statali, sarebbe tornata in scena in modo così osceno e scandaloso da costringermi poi per anni, a dissetare l'animo mio "nelle scure acque della rinuncia", per salvare almeno l'amor di Patria.
Fu così, fino al pomeriggio del 25 febbraio 2002, quando nella sala Vivaldi dell'Hotel Majestic sito in via Veneto a Roma la sorte elevò il velenoso dubbio, che da quasi un decennio covava dentro l'animo mio, alla dignità di sospetto fondato in ordine alla strage di via D'Amelio, costringendomi a rivisitare i miei quaderni a futura memoria, a leggere la relazione conclusiva della Commissione Antimafia con le annesse risultanze di quelle indagini che la Procura di Palermo non aveva mai fatto (sic.); leggere il processo nato dalle mie denunce; i processi per la strage di via D'Amelio; i fatti processuali che riguardano Bruno Contrada e per me, l'inconfutabile fatto che costui era in buoni rapporti con Rosario Riccobono e Antonino Pipitone, personaggi con i quali l’ho visto con i miei occhi. La mai chiarita vicenda denunciata da un Capitano dei Carabinieri, che affermava d'aver saputo da un suo confidente della polizia che Bruno Contrada era stato fermato ed identificato, da due poliziotti in via D'Amelio, subito dopo la strage e che quei poliziotti furono poi costretti a strappare la relazione di servizio per ordini superiori. La storiella del covo di "Totò" Riina; l'agenda rossa di cui tuo padre non si separava mai, nella quale potevano esserci anche appunti inerenti il mio esposto-dossier, oltre al fatto che quella borsa poteva contenere lo stesso esposto-dossier ; le dichiarazioni dei "pentiti"... ecc... ma sopra tutto, perchè va contro ogni logica, contro ogni ragione che"cosa nostra" ponesse in essere un'altra strage, proprio mentre lo Stato e le Istituzioni politiche si stavano attivando duramente per reagire, a quella che, c'indicavano come pura vendetta mafiosa (sic): la strage andata in scena Capaci.Caro Manfredi, ti sei mai chiesto perchè, dopo via D'Amelio, il coordinamento delle indagini per le stragi mafiose, fu affidato a quel Bruno Contrada, già da anni molto discusso e sospettato anche dentro la Procura di Palermo?..
Secondo te, che professionalmente devi necessariamente, metterti sempre in posizione critica nei confronti del dubbio e gli scenari che esso pone in essere: è possibile che in quel momento storico e quindi dopo la frettolosa e "urgente strage" di via D'Amelio, il coordinamento delle indagini sia stato affidato a Bruno Contrada a garanzia degli scenari criminali, Istituzionali e politici compromessi nelle stragi?
L'imponderabile non era solo intrinseco nell'attività criminale ma anche nel contenere e/o controllare i dissensi e gli interrogativi di tanti uomini delle Istituzioni e dei cittadini di questo nostro Paese che, dopo via D'Amelio esigevano immediate risposte forti e credibili.
Alla fine di quel maledetto anno le risposte "in parte" arrivarono perchè la parte sana del Paese s'impose alle nefandezze ed alle stragi, che durante l'arco consocativo 1978-1992 si erano consumate impunemente contro gli uomini onesti:contro i Patrioti delle Istituzioni
Ma a quella dell'arresto di Totò Riina e alla telenovela andata a male del "covo" non perquisito immediatamente dopo l’arresto per un errore e/o incomprensione fra le parti Istituzionali, non ci crede nessuno.Un attimo dopo la strage, in via D'Amelio i demoni del potere ad ogni costo, nel far sparire il movente dell'infamia, lasciarono tracce indelebili; dopo l'arresto di Totò Riina, ci lasciarono addirittura la coda.
Se tuo padre si fosse presentato vivo in Procura già il lunedì successivo, 20 luglio (la mattina del 19 luglio gli era stata assegnata (sic...) la tanto richiesta delega su Palermo), poteva leggersi il verbale delle mie argomentate dichiarazioni, seguire e/o partecipare all'interrogatorio del teste da me chiamato in causa, utilizzare i buoni uffici di un noto avvocato che quel teste aveva convinto a rendersi disponibile... e poi via dentro l'infernale scenario delle Partecipazioni Statali, che in definitiva e padre e madre di quel modello politico-economico e sociale che ha consentito fin quì di saziare il potere economico e clientelare dei Sedara, "potenti politici" siciliani che militano anche sul fronte dell'antimafia (sic.),dei loro lacchè imprenditoriali e dei loro luridi servi criminali
E giusto chiedersi: se fosse vero lo scenario ed il contesto che chiamo in causa, perchè "cosa nostra" non eliminò Gioacchino Basile mettendo così in difficoltà gli elementi di prova contro Fincantieri e quindi lo stesso Paolo Borsellino?....
La risposta è semplicissima: così come è stato dimostrato, in quel contesto ambientale controllare ed eliminare il problema Gioacchino Basile, mentre era in vita, era possibile;lo dimostra il fatto che, malgrado il mio già decennale impegno civile contro "cosa nostra" e le mie immense e visibili ragioni, sempre testimoniate dai giornali e dalla tv nazionali e locali, i potenti di turno ed i loro lacchè, erano riusciti a fare dello scrivente un morto civile.
Non era possibile controllare il cadavere e la storia di Gioacchino Basile; specialmente quando su di esso si era accesa l'attenzione di Paolo Borsellino, che aveva a sua disposizione elementi inconfutabili della prova che legava, la mia vita e la mia storia a Fincantieri ed al suo squallido scenario.
Tornando a quel 25 febbraio 2002, il quadro che venne fuori fu molto duro: per questo, il 29 aprile 2002 in occasione dell'ulteriore ingiustizia che subivo ad opera del Magistrato, fonte dei miei sospetti, scrissi e spedii quel comunicato stampa all'ANSA, nel preciso intento di farmi querelare, ed aver poi modo di sentire la sua versione dei fatti e le sue giustificazioni in sede giudiziaria. Mi esposi alla querela perchè l'animo mio, intuiva già che, grazie "alle concezioni esecutorie della legge" a Caltanissetta avrei trovato la stessa accoglienza ,d'un cane che entra in chiesa durante la funzione religiosa: ma, lo scrivente aveva bisogno di capire.... a qualsiasi costo!...
In data 19 dicembre 2001, avevo già querelato il Magistrato, fonte dei miei legittimi sospetti, che aveva chiesto due ingiustificati rinvii a Giudizio contro lo scrivente per due querele infondate e uguali, formulate dallo stesso personaggio: ma, lui nella qualità d'imputato aveva facoltà di non rispondere e di non presenziare in sede giudiziaria.
I due insindacabili errori (a mio avviso abusi giudiziari), attivati dal sospettato contro lo scrivente si conclusero con un nulla di fatto e fui in entrambi i casi assolto: ma c'è di più...
Se fosse possibile, un giorno in luogo Istituzionale sarebbe utile la circostanziata e documentata lettura, di questo classico da scuola che oltre a vedere protagonista la Procura di Caltanissetta e quelle "concezioni esecutorie della legge" che rischiano di demolire ulteriormente la nostra fiducia nelle Istituzioni, notifica anche la non emissione delle motivazioni della sentenza di assoluzione dello scrivente, emessa due anni fà dalla D.ssa Saguto del Tribunale di Palermo che deve necessariamente motivare, che quel Processo contro Basile non si doveva fare: quelle motivazioni ci consentirebbero di dimostrare che quel Magistrato era andato oltre l'errore insindacabile, per motivi che appaiono inquietanti (se l'oggetto di questa lettera non sarà ampiamente chiarito): un Basile, condannato per diffamazione sarebbe stato un problema molto meno serio. (sic.)
A me riesce difficile pensare che le difficoltà d'ufficio, della D.ssa Silvana Saguto siano artatamente costituite per aiutare quel Magistrato che difese le debolissime ragioni, d'un imprenditore che si dice vittima innocente del racket mafioso. Però al di là della stima che nutriamo per le persone, dobbiamo ammettere che troppe volte la prudenza, è stata storicamente la peggiore nemica della verità.
La mia argomentata e documentata querela fu archiviata perchè le scelte investigative del Magistrato sono insindacabili, anche in presenza della testimonianza scritta d'un poliziotto che attesta cose diverse, che però i PM ed il GIP hanno giustificato accogliendo la tesi dell'imputato (il Magistrato in oggetto) che ha affermato di avermi detto quelle cose perchè è un mio amico, agganciandosi al fatto che ci diamo del tu...(sic.)
Non si volle indagare sui fatti da me esposti, anche in presenza di fatti gravissimi da me contestati al Magistrato in oggetto, in ordine a via D'Amelio, davanti al GIP.,
La querela, contro il mio comunicato stampa del 29 aprile 2002, che lui fu costretto a farmi dopo ben 83 giorni di riflessione (sic.), per la quale in sede istruttoria mi difesi attaccando (anche qui) in modo assai argomentato e documentato anche in ordine ai miei sospetti su via D'Amelio, sfociò in un Processo che mi vide imputato.
Le due PM che raccolsero le mie dichiarazioni, sia nella qualità di persona offesa che in quella d'imputato, non presenziarono mai al nostro confronto, sia davanti al GIP (tre udienze) che in sede Processuale, che vide anche in notevole difficoltà il Magistrato che poi ritirò la querela ...Mi chiedo: E possibile che, non volevano ascoltare e vedere?
Caro Manfredi, in ogni sede ed in ogni luogo ho sempre detto la verità: e quando, senza averlo espressamente richiesto, ho constatato la piena disponibilità del Magistrato (fonte principale del mio sospetto) a ritirare la querela ma, solo dopo che avesse avuto la certezza che avrei accettato la sua remissione, colsi la palla al balzo, sia perchè ero stanco della "concezione esecutoria" della Procura di Caltanissetta che alla luce dei fatti di mia conoscenza non ha mai indagato sulle cose che ho posto alla sua attenzione, sia per la funzione strategica che attribuivo alla querela: in sede Processuale avevo ascoltato abbastanza; anche cose non corrispondenti alla verità, dichiarate da quel Magistrato sotto giuramento; perchè dunque, non mettere, quello che oggi è un Sostituto Procuratore Generale a Palermo, nelle condizioni di chiudere in fretta un Processo che gli era scomodo, anche in funzione di parte offesa, evitandomi così, una ingiusta ma, certa condanna, almeno fino alla Cassazione?...
Quando, per saziare la sua volontà di chiudere quel Processo che mi vedeva imputato, ho detto che, mai, ho pensato, che lui potesse essere stato un fiancheggiatore di "cosa nostra". Ho detto la verità: perchè quelli come il Magistrato in oggetto, sono certamente uomini delle Istituzioni, così come lo sono stati i Contrada e quei suoi pari più fortunati di lui, che si sono fin quì salvati, giustificando con il "legittimo errore" e/o infantile convincimento, e i non ricordo, quelle che appaiono prepotentemente, le gravi responsabilità assunte, in ossequio agli ordini eseguiti per conto delle Istituzioni politiche; di più, "quegli errori" sono poi stati premiati, con incarichi prestigiosi ed avanzamenti in carriera... è legittimo dire che i conti non tornano...
I conti non tornano perchè esistono anche quelle "Istituzioni" che hanno il volto della mafia... questo è il volto di quelli che, dentro le Istituzioni, hanno sempre e storicamente utilizzato l'accozzaglia criminale denominata "cosa nostra" per imporre l'uscita dalla scena di quei nostri eroi, che imponendo la legge, mettevano in ginocchio il governo invisibile di quei "poteri forti" che si sono sempre beffati della nostra Costituzione, del nostro Paese e della dignità della nostra gente.
Queste non sono mie considerazioni; sono fatti resi evidenti dalla storia d'Italia.
In assenza di un cristallino chiarimento, le scelte investigative di quel Magistrato, unitamente a quelle di altri suoi colleghi, anche quì non menzionati per motivi strategici, paiono vestite con gli abiti delle omissioni che indicano inequivocabilmente quei "cerchi concentrici Istituzionali" che avrebbero "auspicato" la morte di tuo padre per rimuovere l'ostacolo che impediva alla Procura di Palermo di tornare a sbagliare con scandalosa indecenza, quel mese di luglio 1992.
Un movente, carico d'indizi e di fatti documentali, come quello prospettato dallo scrivente che si sposa con estrema naturalezza con altri inquietanti indizi: i cosiddetti misteri.
La borsa contenente l'agenda rossa; l'errore di aver arrestato Pietro Scotto (sic.) prematuramente bruciando le intercettazioni ambientali; la mancata perquisizione (sic.) del covo di Totò Riina; le convergenti dichiarazioni dei "pentiti" che indicano la giornata del 17 luglio 1992, come quella in cui fu dato l'ordine di uccidere Tuo padre e per questo fu preparata la Fiat 126, ed altri fatti non meno importanti, in altre circostanze avrebbero registrato il massimo impegno delle Istituzioni nel fare chiarezza.
A me piace ancora pensare che la Procura di Caltanissetta abbia sbagliato in buona fede: non voglio pensare cose tristi di quella Procura che non volle assolutamente dare conferma di ricevuta postale agli addetti delle poste, in ordine ad un mio corposo plico, inviato a mezzo raccomandata-assicurata, in data 19 dicembre 2003, che conteneva notizie interessantissime da includere, in ordine ai minimi fatti che avevo già posto alla loro attenzione ed a verbale il 24 novembre precedente, quando si dovette sospendere per altri impegni delle due PM: ma nemmeno questo sfrontato errore e/o messaggio psicologico di quella Procura, mi ha fatto fin qui paura....
Visitando la storia della nostra terra e le responsabilità e/o le difficoltà (sic.) che hanno visto protagoniste le Procure siciliane, (fermo restando il rispetto per l'Istituzione) mi sento nel diritto di non avere più incondizionata fiducia nelle persone di quella Procura della Repubblica: mi hanno trattato malissimo, sia a livello umano che in ordine alla mia credibilità. Così sono stato trattato io che, (posso gridarlo forte e sfido quei Magistrati a dimostrare il contrario) ho combattuto "cosa nostra" e la mafia senza motivi di rivalsa personale, senza doveri professionali (sic.), senza legittime o meschine finalità politiche e/o di potere, senza essere parente di alcuna vittima della mafia è sopra tutto, senza esser servo di alcun potere, ma fedele soldato della nostra Costituzione.
Quando ho appreso che il procedimento penale riguardante la strage di via D'Amelio era stato archiviato, nella qualità di persona offesa (perchè la mia morte civile iniziò subito dopo quella strage), ho chiesto di conoscerne i motivi, mi è stato risposto che avrei dovuto prima spiegare le motivazioni che mi vedevano parte lesa.
Consigliato dal mio avvocato ho deciso di desistere per i motivi che ti lascio interpretare, partendo dalla seguente e credo lucida considerazione: se si fossero fatte le minime indagini di rito, c'era motivo di chiedere a me i motivi che mi vedono parte offesa nella strage di via D'Amelio?... E là dove avessi prodotto istanza argomentata e ulteriormente documentata, quale speranza avrei avuto che la mia richiesta trovasse la dovuta attenzione in una Procura che non aveva fino ad allora, a mio avviso, prestato la benché minima attenzione alle cose ed ai fatti che ho denunciato alla stessa?..
Caro Manfredi, se è vero che, la moglie di Cesare, deve essere al di sopra d'ogni sospetto... allora dovremmo avere il diritto di sapere la verità: qualunque verità.
Ho titolato con le parole di S. Paolo questa missiva, per rendere evidente che, il mio cammino di verità e giustizia, non ha fin visto alcun vostro concreto e visibile impegno. Se dopo questa missiva, quello che m'appare il vostro sbagliato disinteresse non avrà avuto fine, allora potrà, considerarsi conclusa anche la mia fiducia nella vostra sete di Verità e Giustizia: perchè S. Paolo dice noi...mentre io sono stato solo, nel cercare quella giustizia che, voi familiari, dovreste pretendere più di me, senza fidarvi incondizionatamente, di quelli che svolgono con vantaggio economico e di potere le professioni dentro le Istituzioni è che hanno formulato fin qui (sono passati già quasi 14 anni) quelle ipotesi investigative che non hanno portato a luce la Verità e stanno impigrendo sempre di più, la voglia di Giustizia dei cittadini di questo nostro Paese.
Deve essere chiaro: vi chiedo un'impegno, che vada oltre la ritualità delle buone intenzioni, e cerchi con coraggio vero quella Verità, che può concretamente rendere Onore e Giustizia a tuo padre, ed a tutti i nostri Eroi, senza fidarvi di alcuno.
Per meglio contestualizzare lo scenario che vi assedia, anche fra quelli che potrebbero fregiarsi in malafede dell'amicizia che avevano con tuo padre, per tenervi lontano da me e dalle mie pericolosissime ragioni, utilizzerò anche con voi alcune righe d'una lettera d'epoca rinascimentale che un suddito scrisse a Sua Grazia Cesare Duca di Romagna:
Vi sono ebrei, mio signor Duca, i quali hanno per certo che l'inferno da essi chiamato Sheol, sia confermato a guisa di più livelli disposti a cerchio, e che ciascuno contenga l'esatto contrario della realtà. Dimodo che, l'alto diventa basso e il basso l'alto; la sinistra si fa destra e la destra sinistra; il bene diventa il male ed il male bene; ed il giorno più terso notte oscura...
E per ciò essi dicono che le verità che costituiscono ragioni nella città di Dio si fanno cotal modo assurdità, è questa città di pietra una dimora per demoni le cui voci ci giungono a guisa d'eco....
Caro Manfredi, i 4 anni in cui ho messo in gioco il mio onore rimasto integro, malgrado la querela, le provocazioni "istituzionali" (hanno fatto di tutto per farmi sapere che il mio computer ed i miei telefoni erano sotto controllo) è l'esser stato più che indagato, provocato per anni con l'ipotesi di reato di calunnia (sic.) ad un Magistrato, li dedico a tuo padre, il quale se non avrà Giustizia, non sarà certo per mia rinuncia...
Io ho già dato tanto e sono pronto a dare tantissimo; anche senza di voi: adesso io so quanta paura ha questo sistema “democratico” della mia storia personale, ed a supporto del mio legittimo sospetto ho prove talmente limpide ed inequivocabili, (anche di altri fatti qui non menzionati per motivi d'opportunità) che metterebbero in difficoltà anche coloro che potrebbero pensare d'incasinarmi in un labirinto Kaftiano, con il solo e semplice pretesto, "della concezione esecutoria della legge".Il copione di questi ultimi 4 anni è stato uguale a quello che ho vissuto nei 20 anni precedenti: sono ormai 24 gli anni che a tutti i livelli, Istituzionali e politici, m'ignorano, m'isolano, mi tradiscono, mi calunniano e tentano di far di me un morto civile: ma, sono sempre quì, e sempre più deciso ad andare incontro alla Verità ed alla Giustizia.
Per quello che mi riguarda, continuerò la ricerca di quella possibilissima verità, che se non darà Giustizia a tuo padre ed ai cinque poliziotti massacrati con lui, segnerà almeno storicamente l'infamia di quei sciacalli che con i copioni delle stragi per mano criminale, avrebbero potuto tradire la nostra Costituzione ed ucciso i nostri sogni di libertà...
Da solo, sono pienamente consapevole che, anche laddove, (così come notifica inesorabilmente tutto il chiarissimo e luminoso quadro probatorio) avessi piena e conclamata ragione, non potrò mai vincere questa battaglia; il problema è politico è mette in discussione, un pezzo importantissimo dell'economia statalista, l'ordine pubblico su parti importanti del territorio italiano per motivi occupazionali e l'onore stesso dello Stato...
La tenacia di Leopoldo Notarbartolo, che difese la memoria di suo padre, cercando la verità da solo e fra mille ostilità, spero appartenga anche a te.
Un secolo fa, per rendere almeno Giustizia morale a Suo padre, lui scrisse e fece stampare 1000 copie di un libro-documento per opporsi all'ignavia del tempo ed all'oblio dell'ingiustizia delle nostre Istituzioni: senza l'impegno e la tenace testimonianza di quel degno figlio, oggi non si conoscerebbe la storia di quel Galantuomo ed Eroe d'altri tempi.
Da quel 1 febbraio 1893 al 19 luglio 1992 era passato un secolo, ma non era cambiato nulla; e dopo quasi 14 anni da via D'Amelio ci appaiono ancora uguali, il copione, lo scenario, i protagonisti e gl'interessi.
Mostri e demoni sono immobili e silenti sotto le acque marce delle palude in attesa di scattare fuori per distruggere la mia credibilità e la mia onorabilità; non al primo errore ma, addirittura alla prima parola fuori posto, che anche lontanamente somigli all'errore. I più viscidi ed attivi si trovano fra quelli che hanno costruito le loro fortune politiche e professionali speculando sul sangue dei nostri Eroi.
Per quello che mi riguarda, fino alla fine dei miei giorni continuerò a testimoniare alla gente ed alla storia, che noi siciliani, ed i cittadini del sud più in generale, siamo vittime accerchiati da infami demoni che vivono anche dentro di noi e si nutrono delle nostre paure e delle nostre meschine convenienze.
Che, viviamo tutti dentro un inferno che altri, storicamente, hanno strutturato fin dentro l'animo della moltitudine, per renderla insensibili al male, ed anzi viverlo e/o condividerlo (nascosti dietro il siparietto dell'ipocrisia) per paura dei "mali peggiori" che potrebbero evidenziarsi con la ricerca del bene comune.
I demoni del "potere ad ogni costo" hanno tutte le chiavi per aprire le porte dell'animo della gente e, al momento giusto, sanno di poterci entrare dentro e gestirle, fino ad indurle a convivere pacificamente con i dubbi ed i sospetti più aberranti.
Immediatamente dopo la pronuncia della sentenza che mi vide assolto dal giudizio per remissione della querela da parte del Magistrato oggetto del mio fondato sospetto, (6 ottobre 2005) ho iniziato a pensare a questa lettera aperta, per rispondere, a quella che m'appare come una VS/sbagliata assenza, dalla ricerca di Verità e Giustizia per tuo padre ed i cinque poliziotti della sua scorta.
Più che attendere la sempre rinviata uscita del film televisivo, (sic.) (che Fincantieri ha preteso di controllare e "chiesto" di tagliare in ogni riferimento ad essa, con la pronta ubbidienza della la Rai) e si tornasse a parlare di questa mia storia, del ritorno in scena di "questa comparsa impolverata" ho voluto attendere l'esito elettorale di tua zia per non incidere negativamente, sulla sue umane aspirazioni....
Tutto accade mollemente e senza apparenti clamori, ma è fuori d'ogni dubbio, che le falsità e i depistaggi per ottimizzarsi hanno bisogno di sfruttare anche la buona fede e la paura d'interrogarsi, dei parenti delle vittime, aggrediti anche dalle attenzioni di molti attori Istituzionali, politici e imprenditoriali dello Stato, che quella strage avrebbero potuto auspicare, per salvaguardare il loro potere ed i loro infami interessi.
Dopo la mia intervista-denuncia pubblicata dal giornale "La Sicilia" del 13 aprile us. ed il rombante silenzio che ne è seguito, sono serenamente convinto, che a questa lettera aperta non seguirà, alcun impegno che metta in cammino una chiara e vera attività giudiziaria, tesa a dare onore alla Verità (qualsiasi verità), che metta fine a quei "convincimenti" che non convincono nessuno ma, saziano i Don Abbondio di turno.
Stampa, tv e Procura di Palermo, attorno ai resti d'un farabutto criminale, arrestato dopo 43 anni di latitanza a casa sua (sic.) ed ormai da tutti poco utilizzabile, appaiono impegnate a costruire fantastiche verità, che nello stile di Oscar Wilde, sembrano voler oscurare un passato che invece, vuole tornare prepotentemente in scena per dare Giustizia ai nostri Eroi. Non so se piangere o ridere, quando vedo in tv e leggo sulla stampa della formidabile attività investigativa che si è attivata attorno al "covo" dell'ex latitante (sic.) Bennardo Provenzano... pensa un po’, caro Manfredi, cosa avremmo scoperto se un decimo di quella che appare come ridicola propaganda attività giudiziaria, fosse stata attivata subito dopo l'arresto, nel " covo" del sano, attivissimo ed infame, "Totò" Riina... (sic.)Non riesco proprio a convincermi, che pezzi importanti di quella Procura di Palermo, che non riuscirono a conquistarsi la fiducia e la stima di tuo padre e di Giovanni Falcone, oggi siano protagonisti Istituzionali degni di credibilità:i conti non mi tornano...
Gioacchino Basile non ha mai tradito nessuno, nemmeno con la rinuncia.... è non lo farà certo nei confronti di tuo padre e dei cinque poliziotti della sua scorta ad essi debbo la certezza che non convive con il dubbio, affinché altri Magistrati degni di tali conferimento Istituzionale ed altri uomini e donne delle forze dell'ordine possano svolgere il loro dovere, senza dubitare della lealtà del nostro Stato che Essi, servono quotidianamente, nell'interesse dei cittadini e della nostra Costituzione Democratica.
Consapevole dei miei limiti (sono un uomo solo) è certo che, ben difficilmente la filosofia del potere, consentirà spazi al coraggio della ragione, che si fa Verità e rende Giustizia ai nostri eroi, ti confermo fin d'adesso, che questa lettera aperta navigherà attraverso il mio sito Web costruito ad oc. a vele aperte incontro alla storia ed alla gente del mondo, e che nello stesso sito web caricherò tutta la documentazione del caso che ineluttabilmente dimostra, la forte serenità delle mie ragioni.
PS: mi piace chiosare questa lettera, aggiungendo un'altro inquietante elemento strutturale che rischiava di sfuggirmi: (sic.):
qualche mese dopo, la strage di via D'Amelio in ordine all'Esposto del 29 giugno 1992, fui convocato da un Brigadiere della guardia di Finanza, negli uffici di Piazza Sturzo al quale delucidai ulteriolmente le cose che avevo documentato ed argomentato nell'Esposto in oggetto... quel Brigadiere, vedendomi fiducioso e disponibile a mettere a verbale fatti e circostanze che arricchivano l'esposto, per frenare il mio fiducioso entusiasmo, mi disse chiaro e tondo che quelle "indagini" erano un palliativo per costruire un Processo fiscale.
Signor Basile, mi disse se ci fosse stata un minimo di volontà vera di scoprire cosa c'è dietro a questo affare, le indagini da fare dovrebbero essere altre ed io non dovrei essere solo; quindi non s'illuda...
Ma, non ci volli credere. Nemmeno quando mi disse che la delega alle indagini gli era stata affidata da un Magistrato della Procura presso la Pretura di Palermo, di cui mi disse il nome che ben ricordo ed è, ben segnato nei miei quaderni a futura memoria.
Mi piaceva credere che si stava indagando sotto traccia a fatti meno importanti che non mettessero in allarme la palude. Dio mio, quanto ci fà sbagliare il credere senza riserve, negli uomini che si dicevano amici di tuo padre: come potevo dubitare del Magistrato di cui s'era fidato tuo padre; di quello che all'indomani della strage organizzo altri suoi colleghi per chiedere le dimissioni del Prefetto e del Questore di quel tempo!!!..
Quel Brigadiere della guardia di Finanza, m'aveva detto la verità ed "il teatrino degli errori" grazie alla insindacabile "concezione esecutoria della legge" stava per partorire "l'errore fondamentale" che metteva al sicuro "l'errore procedurale" dalle pericolose e scomode ulteriori dichiarazioni dello scrivente.
L'anno successivo o più avanti nel tempo (non posso essere preciso perchè non ho ad immediata portata di mano i miei quaderni a futura memoria, constatato che, malgrado i forti elementi probatori e addirittura le prove che avevo prodotto,non si erano scalfivate per niente le relazioni "imprenditoriali" e i convenienti intenti fra azienda e "cosa nostra", mi recai nella Procura presso la Pretura di Palermo per chiedere notizie sull'esposto del 29 giugno 1992, al PM che mi era stato indicato dal Brigadiere della guardia di Finanza.
Individuata la segretaria del PM ... le dissi gentilmente, che volevo parlare con il dottor .... la stessa gentilmente e pienamente disponibile,dopo che mi presentai ed ebbi accennato al motivo della richiesta, entrò nell'uffico del dottor... per annunciarmi; tutto lasciava presagire, che da lì a poco sarei stato ricevuto dal PM.... ma, l'annunciatrice tardò ad uscire, ed io cominciai ad inquietarmi.
Uscita dalla stanza del PM, quella signora era totalmente cambiata... era un'altra persona.
Il Dottor... adesso non può riceverla. Ma comunque per avere luogo l'incontro, lei deve fare istanza... anzi per essere più precisi l'istanza deve farsela fare da un avvocato ed il Dottor ... mi ha precisato che in ordine agli impegni che ha in corso, in ogni caso l'incontro non potrà avvenire prima di almeno tre mesi... è utile ricordare che, informai di questo fatto "un mio amico" (sic.) avvocato, che si rifiutò di scrivere, quella inutile istanza...
In questi ultimi anni, indagando sui fatti odierni, dal teste che chiamavo in causa in quell'esposto e da un mio amico giornalista ho saputo che l'esposto del 29 giugno 1992, in effetti scaturì in un processo fiscale, contro Antonino Cipponeri ed altri.
In buona sostanza, quel Processo svuotava l'importanza penale ed i profondi contenuti di quell'esposto, ed escludeva dal Processo anche in qualità di teste, l'estensore dello stesso che si dichiarava anche parte offesa, perchè avevo scoperta la verità, seguendo la rozza traccia della falsa testimonianza di Antonino Cipponeri nel mio Processo del lavoro.
Eppure, sia davanti al PM della Procura Antimafia di Palermo, sia davanti al Brigadiere della guardia di Finanza e sia nell'esposto, mi dichiaravi sempre parte offesa, per quel mentire sotto giuramento di Antonino Cipponeri, che poteva arrecarmi danni patrimoniali.
Nei documenti di questo sito web, puoi tu stesso constatare che concludevo l'esposto, dicendo che intendevo essere avvisato in caso di archiviazione... (sic.)
"Minchia" è fammelo dire, questi non solo non m'hanno ascoltato come parte offesa in quel Processo che somiglia troppo ad una farsa,ma nemmeno come teste estensore di quell'esposto documentato nelle circostanze e nelle fatture... (sic.


Possiamo dirlo che tutto concorre a fare apparire prepotentemente uno scenario che si difende dal rischio, di correggere l'errore procedurale e "l'errata ipotesi investigativa" determinati dalla "concezione esecutoria") di quei Magistrati?..
Di ciò non ho certezza, ma vogliamo scommettere che, se vado a leggere nei miei quaderni a futura memoria, la data del giorno in cui mi recai nella Procura presso la Pretura di Palermo, essa corrisponde con il momento storico in cui andava in scena quel Processo, che i fatti fanno apparire come una farsa?!!..

Gioacchino Basile
posta elettronica: gioacchino_basile@tin.it

Comunicato Stampa Ansa (ottobre 2003)

Comunicato Stampa (Ansa) ottobre 2003

Spett.le dottor Pier Luigi Vigna,
con le stragi di Palermo nell’anno 1992, "cosa nostra" esercitò le sue infami funzioni regolatrici, al servizio di quei poteri che, assicurano ai Palazzi romani, fedeltà e ordine sociale in cambio della totale assenza di controlli e di legalità, in ogni comparto della gestione delle pseudo attività produttive dello statalismo affaristico e delle risorse assistenziali, pilotate attraverso la lottizzazione politica, per controllare ed impedire ogni accennò alla trasparenza ed alla emancipazione culturale e morale della mia gente.Detto questo e consapevole che, adesso la mia vita e la “ritrovata” serenità della mia eroica famiglia andranno a farsi benedire, (conosco bene il contesto) La voglio portare pubblicamente a conoscenza del fatto che, da ben 8 mesi ho informato con lettera scritta la Procura di Caltanissetta, che sono in grado di fornire dettagliate argomentazioni, importanti indizzi ed inconfutabile documentazione che potrebbero dimostrare in tutto il suo pittorico scenario, quel contesto che decise la strage di via D’Amelio, e che partendo da questo contesto si potrebbe arrivare agevolmente a quelle responsabilità, che l’attività Giudiziaria ha illuminato solo nella parte fiancheggiatrice di quella strage; ma nessuno sente ancora il bisogno di ascoltarmi... (?)Ancora una volta le parole e gli onerosi intenti esistenzialmente d’un uomo, (posso gridarlo forte è senza paura d’essere smentito) che si è battuto e si batte contro l’infamia criminale e l’accozzaglia politica che ne utilizza le funzioni regolatrici, solo ed esclusivamente per motivi ideali, sembra valere molto meno, di quella dei professionisti della politica e dei "pentiti".Sembra una storia vecchia quanto la mia storia: ma spero che stavolta non mi ci vogliano altri 15 anni ed il “pentito” di turno per rendere Giustizia a quegli Eroi che appartengono alla gente comune; l’unica componente del sistema Stato, di cui si ha la certezza, che non li abbia mai traditi..L’augurio che mi rivolgo e che rispettosamente rivolgo a Lei (che certamente è stato già informato dal mio amico Giancarlo Caselli e dal Dottor Luca Tescaroli) ed alla Procura di Caltanissetta è quello che il vostro silenzio sia finalizzato a quell’interesse investigativo che non teme di guardare a fondo la verità che decise l’infame strage di via D’Amelio...Non so se sto sbagliando è quanto sto sbagliando: so solo che, Voi signori Magistrati dovete rendervi conto che il cittadino, l’ex operaio e sindacalista, l’uomo tradito anche da pezzi importanti delle Istituzionicostretto a vivere l’esilio, Gioacchino Basile, fino a prova contraria merita un po’ di rispetto.Se invece si stesse costruendo il copione palermitano e siciliano più in generale che attraverso il tatticismo esilarante, vede sempre la verità prigioniera del silenzio e della calunnia per nascondere le debolezze Istituzionali d’ogni tempo e d’ogni colore politico è bene che si sappia: stavolta non sarà così... stavolta, qualsiasi cosa mi accada non solo la strage di via D’Amelio avrà Giustizia; ma partendo da essa si potranno finalmente capire quali sono i profondi malesseri del sud del nostro Paese: altro che quell’infame di “Toto Riina” e dei suoi accoliti criminali..Sono è resto a VS/ disposizione per documentarVi ed argomentarVi, quella verità che solo per rispetto alla mia ed altrui onorabilità, continuo a condizionare alle VS/ indagini di merito.
Gioacchino Basile.

Dossier scritto da Umberto Santino

Umberto Santino, Perché questo dossier
Questo dossier nasce da molteplici esigenze. La prima è di raccogliere una documentazione preziosa, attualmente dispersa, riguardante la presenza della mafia al Cantiere navale di Palermo, dalle denunce dell'operaio e sindacalista Gioacchino Basile all'inchiesta condotta dalla Procura di Palermo che nel luglio del 1997 ha portato all'arresto dei mafiosi e dei loro complici operanti nel Cantiere.
La seconda esigenza è di ripercorrere un itinerario esemplare che va oltre la vicenda individuale. Gioacchino Basile ha cominciato a denunciare la presenza mafiosa nel Cantiere nel 1987 e da allora ha vissuto un vera e propria via crucis, le cui stazioni principali sono state l'espulsione dalla CGIL, il licenziamento della Fincantieri e ora il forzato esilio lontano da Palermo, per sfuggire alla ritorsione mafiosa. Questa vicenda non è casuale ma è indice di qualcosa di più ampio che riguarda le condizioni in cui si è svolta la lotta antimafia dagli anni '80 fino ad oggi.
La terza esigenza è di porre all'attenzione il problema del Cantiere navale, che rischia di essere smantellato nell'indifferenza generale, come se si trattasse di una questione privata di lavoratori e sindacalisti.
La mafia al Cantiere
La presenza della mafia al Cantiere navale non è un fatto nuovo. Manca una storia del Cantiere (ed è una gravissima lacuna, dato che esso è stato e rimane fino ad oggi la più importante industria di Palermo e una delle più consistenti realtà produttive della Sicilia e del Mezzogiorno) ma sulla presenza mafiosa e sul ruolo dei lavoratori del Cantiere nella lotta contro la mafia qualcosa sappiamo.
Se già nell'ultimo decennio del secolo scorso, prima e durante la vicenda dei Fasci siciliani (1892-1894), gli operai della Navigazione generale dei Florio, il maggiore stabilimento industriale dell'isola, cominciano ad assumere un ruolo autonomo, rompendo con il paternalismo padronale e costituendo il primo nucleo del «movimento socialista internazionalista», è negli anni che precedono l'avvento del fascismo che i lavoratori sperimentano le prime forme di collaborazione con il movimento contadino, allargando il fronte antimafia. Nel 1920, cadono per mano mafiosa i principali artefici di quella politica unitaria. Il 1° marzo a Prizzi viene ucciso Nicolò Alongi, dirigente del movimento contadino, e il 14 ottobre a Palermo viene assassinato Giovanni Orcel, segretario federale della FIOM. Quei delitti, come tantissimi altri, sono rimasti impuniti.
Ricordiamo l'impegno e il sacrificio di Alongi e Orcel perché troppo spesso negli ultimi anni si è parlato di un'attività antimafia cominciata solo da poco, in pratica dopo l'assassinio di Dalla Chiesa o dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Invece abbiamo alle spalle una lotta contro la mafia lunga almeno un secolo, che fino agli anni '50 si è caratterizzata come specifico della lotta di classe in Sicilia e come movimento di massa, con centinaia di migliaia di persone continuativamente mobilitate, e dagli anni '80 ad oggi, in un contesto profondamente mutato, ha dato vita a grandi manifestazioni dopo i delitti più eclatanti, ma poi si è risolta nell'impegno quotidiano di pochi.
Nel secondo dopoguerra il Cantiere navale è in prima linea nella lotta contro la mafia che ha come protagonista il movimento contadino. Nel gennaio del 1947, l'anno più duro nello scontro con la mafia, al Cantiere navale i mafiosi, capeggiati dal boss dell'Acquasanta Nicola D'Alessandro, sparano sugli operai che non tollerano la presenza mafiosa nel Cantiere e chiedono l'allontanamento del direttore della mensa Emilio Ducci, appoggiato dai mafiosi. Vengono feriti gli operai Francesco Paolo Di Fiore e Antonino Lo Surdo. Va sottolineato: i mafiosi erano dentro il Cantiere, gestivano la mensa, controllavano le assunzioni, con il pieno consenso del padronato.
Cosa è avvenuto negli anni più recenti, una volta sostituito il padronato privato con il pubblico? I mafiosi hanno spadroneggiato nel Cantiere gestendo i subappalti, ma ciò non sarebbe potuto accadere senza il consenso, e la convenienza, della Fincantieri. I Galatolo hanno potuto gestire subappalti e indotto unicamente perché alla Fincantieri, che è un'azienda di Stato ma si è comportata né più né meno come un qualsiasi imprenditore colluso o convivente, conveniva accaparrarsi manodopera a basso costo, ridurre l'organico del Cantiere e incrementare l'attività di microaziende satelliti.
I rappresentanti della Fincantieri hanno negato e continuano a negare la presenza della mafia, e tale comportamento somiglia da vicino a qualcosa che si chiama omertà. Non comprendiamo in base a quali elementi rappresentanti delle istituzioni hanno avvallato le dichiarazioni dei dirigenti dell'azienda: sono disinformati o difendono la Fincantieri per una sorta di «ragion di Stato»?
Quel che è certo è che la Fincantieri non è un caso isolato. Le grandi aziende, private o di Stato, hanno una lunga tradizione di convivenza con la mafia e l'intervento pubblico dagli anni '50 in poi ha avuto una funzione decisiva nella configurazione della mafia come borghesia di Stato. Le recenti rivelazioni di mafiosi collaboratori di giustizia non fanno che confermare cose che si sapevano già e contro cui non si è lottato adeguatamente quando succedevano ed erano visibilissime, almeno per chi voleva tenere gli occhi ben aperti.
Per analizzare l'attività di gruppi mafiosi all'interno o nei paraggi del Cantiere navale non occorre scomodare la cosiddetta «mafia imprenditrice», espressione con cui si voleva indicare un fantomatica mutazione della mafia da parassitaria a produttiva avvenuta negli anni '70: in quegli anni ci sarebbe stato il passaggio da una «mafia tradizionale», in competizione per l'onore e il potere, a una «mafia imprenditrice» che avrebbe scoperto solo allora la competizione per la ricchezza.
In realtà, come ho avuto modo di chiarire in molti scritti, meno fortunati di quella gratuita ricostruzione, l'evoluzione del fenomeno mafioso è un intreccio di continuità e innovazione, per cui aspetti arcaici, come la «signoria territoriale», si coniugano con aspetti postmoderni, come l'uso di mezzi telematici per riciclare il denaro sporco. Ancora più gratuito lo stereotipo che vorrebbe un'antica mafia buona soppiantata da una mafia cattiva: i mafiosi che sparavano sui contadini e sui sindacalisti non erano meno spietati dei «corleonesi». Ma tant'è: «vecchia mafia» e «nuova mafia» sono stereotipi talmente radicati che anche adesso più d'uno non perde l'occasione per avventurarsi in un'ennesima scoperta dell'America, ignorando che la mafia è un sistema adattivo, dotato di un alto grado di elasticità, senza per questo essere un mutante alla deriva. Essa si adegua ai cambiamenti sociali ma non rinuncia all'uso della violenza, semmai dopo gli effetti boomerang dei delitti più eclatanti vi ricorre con maggiore oculatezza; svolge attività legali ma rafforza quelle illegali; si internazionalizza ma mantiene forte il legame con le radici territoriali.
Stando con i piedi per terra, le imprese operanti al Cantiere navale controllate dalla mafia sono miniimprese e se si confrontano i loro fatturati con le capacità di accumulazione della famiglia Madonia, che ha un ruolo rilevante nel traffico internazionale di droghe e dirige il mandamento in cui ricade il Cantiere, risulta ancora una volta ribadita la vocazione della mafia che nell'esercizio della signoria territoriale si inserisce in tutte le attività che si svolgono in una area determinata e ulteriormente confermata l'ipotesi della mafia attuale come mafia finanziaria e della prevalenza dell'accumulazione illegale: solo una parte dei capitali accumulati viene utilizzata per gestire attività imprenditoriali, come queste del Cantiere e le altre che risultavano dalla ricerca pubblicata nel volume L'impresa mafiosa. Il resto fluisce nei circuiti finanziari (la liberalizzazione della circolazione dei capitali e la globalizzazione favoriscono la simbiosi tra capitali illegali e legali) o viene reinvestito in attività illecite.
I perché dell'isolamento di Basile
Gioacchino Basile non è come qualcuno vorrebbe un solista ma un isolato. Il primo documento con cui denuncia il ruolo dei mafiosi nel Cantiere è un esposto alla Procura di Palermo, del maggio del 1987, firmato da 120 lavoratori. Successivamente Basile ha avuto un ruolo nell'organizzazione sindacale, è stato eletto nel Consiglio di fabbrica, ma ciò non è valso a fare della sua battaglia una battaglia collettiva, con il sindacato in testa, come ai tempi del movimento antimafia di massa. Basile si è trovato solo, sempre più solo, perché lui è rimasto dov'era e tutti gli altri hanno fatto più di un passo indietro.
Isolato dal sindacato, isolato dal Partito Comunista (nel dossier pubblichiamo una lettera ai dirigenti nazionali del PCI che non ebbe risposta), isolato anche dagli altri operai, almeno da un certo punto in poi. Sappiamo quanto poco affidabile sia la televisione, con la sua capacità di ridurre tutto a una poltiglia di frasi fatte e luoghi comuni, ma certo le cose che dicevano, e quelle che non dicevano, gli operai intervenuti a una recente trasmissione erano dettate da qualcos'altro che il panico del microfono.
Per qualche tempo accanto a Basile sono stati alcuni partiti politici, soprattutto la Rete, e alcuni soggetti della società civile, soprattutto l'associazione Coordinamento antimafia. Purtroppo era un periodo in cui la frammentazione era giunta al massimo, le contrapposizioni erano molto forti e ciò non ha consentito una solidarietà attiva più ampia e adeguata alla gravità della situazione.
Esemplare la vicenda del fallimento della convenzione antimafia proposta dal Centro Impastato nel 1988, quando a Palermo il problema era essere o meno sostenitori toto corde delle «giunte di primavera», che cercavano di avviare un processo di rinnovamento ma contenevano gravi contraddizioni, come la centralità della DC e la presenza di uomini di Lima tra gli assessori, tra cui figuravano anche personaggi come Vincenzo Inzerillo, già allora «chiacchierato» e successivamente incriminato per associazione mafiosa. La convenzione fallì per l'atteggiamento di parte della società civile ma soprattutto per le gravi carenze delle organizzazioni sindacali.
Il nostro intento, pubblicando questo dossier, è chiaro: invitiamo a ripensare quelle vicende, in cui si inserisce la vicenda Basile. Invitiamo i sindacati, i partiti, la società civile: chi è stato a fianco di Basile e da un certo punto in poi non c'è stato più; chi non c'è stato e vuole esserci, attribuendo alla sua vicenda il significato emblematico di spia di un'intera stagione, non definitivamente tramontata.
Chiediamo a tutti un atto di maturità che gioverebbe a superare la situazione attuale. Finora siamo riusciti a stringere le fila solo nei momenti di grande emozione suscitata dai delitti più eclatanti (Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino), per ritornare qualche tempo dopo alla dispersione e all'insularità. Discutere di ciò che è accaduto è necessario se non vogliamo ripetere gli stessi errori e deve essere la precondizione per rilanciare un lavoro unitario. I problemi che pone il Cantiere possono costituire la base di tale impegno.
Il Cantiere ha un futuro?
La vertenza attuale con la Fincantieri è a un punto decisivo. Il Cantiere rischia di essere ulteriormente ridotto e svenduto. La Fincantieri vuole smantellarlo e passare la mano; il governo nazionale è intervenuto con molto ritardo, ma è fin troppo chiaro che non ha una politica per il Mezzogiorno; quello regionale ha avallato il piano Fincantieri, ha disertato gli incontri e solo negli ultimi giorni ha dato qualche segnale di disponibilità; la Provincia e il Comune hanno dichiarato di essere a fianco dei lavoratori ma non è più il momento di solidarietà verbali. Il problema Cantiere non è una qualsiasi vertenza sindacale ma è un nodo essenziale per Palermo, per la Sicilia e per l'intero Mezzogiorno, un banco di prova su cui si verifica chi è amico a parole e nemico di fatto, e se le solidarietà sono solo formali o danno vita ad atti concreti. Gli operai hanno già avviato iniziative per incontrare e coinvolgere la città (anche se poi in alcune manifestazioni si sono registrati episodi che rischiano di aggravare l'indifferenza e di allontanare i cittadini). Con questo intendimento abbiamo lanciato un appello che vuole trasformare la vertenza-Cantiere in vertenza-Città. Abbiamo raccolto le prime adesioni e vogliamo sperare che non siano solo sulla carta.
Siamo solo ai primi passi e sappiamo che sarà dura: per la forza dell'avversario, per le ripercussioni dei processi di globalizzazione ed europeizzazione, per la forza di vecchi vizi duri a morire. Vogliamo ugualmente provarci. A partire da alcuni risultati che tutto sommato si è riusciti a conseguire: le denunce di Basile hanno trovato uno sbocco sul piano giudiziario; la città è cresciuta, anche se ci sono segnali contraddittori; a livello istituzionale è possibile stringere alleanze.
L'unanimismo non serve, anzi è dannoso, ma un ampio schieramento oggi è possibile. A patto che ognuno faccia per intero la propria parte.
Ps: Il Dossier in oggetto risulta da molti anni esaurito.