venerdì 18 aprile 2008

Dossier scritto da Umberto Santino

Umberto Santino, Perché questo dossier
Questo dossier nasce da molteplici esigenze. La prima è di raccogliere una documentazione preziosa, attualmente dispersa, riguardante la presenza della mafia al Cantiere navale di Palermo, dalle denunce dell'operaio e sindacalista Gioacchino Basile all'inchiesta condotta dalla Procura di Palermo che nel luglio del 1997 ha portato all'arresto dei mafiosi e dei loro complici operanti nel Cantiere.
La seconda esigenza è di ripercorrere un itinerario esemplare che va oltre la vicenda individuale. Gioacchino Basile ha cominciato a denunciare la presenza mafiosa nel Cantiere nel 1987 e da allora ha vissuto un vera e propria via crucis, le cui stazioni principali sono state l'espulsione dalla CGIL, il licenziamento della Fincantieri e ora il forzato esilio lontano da Palermo, per sfuggire alla ritorsione mafiosa. Questa vicenda non è casuale ma è indice di qualcosa di più ampio che riguarda le condizioni in cui si è svolta la lotta antimafia dagli anni '80 fino ad oggi.
La terza esigenza è di porre all'attenzione il problema del Cantiere navale, che rischia di essere smantellato nell'indifferenza generale, come se si trattasse di una questione privata di lavoratori e sindacalisti.
La mafia al Cantiere
La presenza della mafia al Cantiere navale non è un fatto nuovo. Manca una storia del Cantiere (ed è una gravissima lacuna, dato che esso è stato e rimane fino ad oggi la più importante industria di Palermo e una delle più consistenti realtà produttive della Sicilia e del Mezzogiorno) ma sulla presenza mafiosa e sul ruolo dei lavoratori del Cantiere nella lotta contro la mafia qualcosa sappiamo.
Se già nell'ultimo decennio del secolo scorso, prima e durante la vicenda dei Fasci siciliani (1892-1894), gli operai della Navigazione generale dei Florio, il maggiore stabilimento industriale dell'isola, cominciano ad assumere un ruolo autonomo, rompendo con il paternalismo padronale e costituendo il primo nucleo del «movimento socialista internazionalista», è negli anni che precedono l'avvento del fascismo che i lavoratori sperimentano le prime forme di collaborazione con il movimento contadino, allargando il fronte antimafia. Nel 1920, cadono per mano mafiosa i principali artefici di quella politica unitaria. Il 1° marzo a Prizzi viene ucciso Nicolò Alongi, dirigente del movimento contadino, e il 14 ottobre a Palermo viene assassinato Giovanni Orcel, segretario federale della FIOM. Quei delitti, come tantissimi altri, sono rimasti impuniti.
Ricordiamo l'impegno e il sacrificio di Alongi e Orcel perché troppo spesso negli ultimi anni si è parlato di un'attività antimafia cominciata solo da poco, in pratica dopo l'assassinio di Dalla Chiesa o dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Invece abbiamo alle spalle una lotta contro la mafia lunga almeno un secolo, che fino agli anni '50 si è caratterizzata come specifico della lotta di classe in Sicilia e come movimento di massa, con centinaia di migliaia di persone continuativamente mobilitate, e dagli anni '80 ad oggi, in un contesto profondamente mutato, ha dato vita a grandi manifestazioni dopo i delitti più eclatanti, ma poi si è risolta nell'impegno quotidiano di pochi.
Nel secondo dopoguerra il Cantiere navale è in prima linea nella lotta contro la mafia che ha come protagonista il movimento contadino. Nel gennaio del 1947, l'anno più duro nello scontro con la mafia, al Cantiere navale i mafiosi, capeggiati dal boss dell'Acquasanta Nicola D'Alessandro, sparano sugli operai che non tollerano la presenza mafiosa nel Cantiere e chiedono l'allontanamento del direttore della mensa Emilio Ducci, appoggiato dai mafiosi. Vengono feriti gli operai Francesco Paolo Di Fiore e Antonino Lo Surdo. Va sottolineato: i mafiosi erano dentro il Cantiere, gestivano la mensa, controllavano le assunzioni, con il pieno consenso del padronato.
Cosa è avvenuto negli anni più recenti, una volta sostituito il padronato privato con il pubblico? I mafiosi hanno spadroneggiato nel Cantiere gestendo i subappalti, ma ciò non sarebbe potuto accadere senza il consenso, e la convenienza, della Fincantieri. I Galatolo hanno potuto gestire subappalti e indotto unicamente perché alla Fincantieri, che è un'azienda di Stato ma si è comportata né più né meno come un qualsiasi imprenditore colluso o convivente, conveniva accaparrarsi manodopera a basso costo, ridurre l'organico del Cantiere e incrementare l'attività di microaziende satelliti.
I rappresentanti della Fincantieri hanno negato e continuano a negare la presenza della mafia, e tale comportamento somiglia da vicino a qualcosa che si chiama omertà. Non comprendiamo in base a quali elementi rappresentanti delle istituzioni hanno avvallato le dichiarazioni dei dirigenti dell'azienda: sono disinformati o difendono la Fincantieri per una sorta di «ragion di Stato»?
Quel che è certo è che la Fincantieri non è un caso isolato. Le grandi aziende, private o di Stato, hanno una lunga tradizione di convivenza con la mafia e l'intervento pubblico dagli anni '50 in poi ha avuto una funzione decisiva nella configurazione della mafia come borghesia di Stato. Le recenti rivelazioni di mafiosi collaboratori di giustizia non fanno che confermare cose che si sapevano già e contro cui non si è lottato adeguatamente quando succedevano ed erano visibilissime, almeno per chi voleva tenere gli occhi ben aperti.
Per analizzare l'attività di gruppi mafiosi all'interno o nei paraggi del Cantiere navale non occorre scomodare la cosiddetta «mafia imprenditrice», espressione con cui si voleva indicare un fantomatica mutazione della mafia da parassitaria a produttiva avvenuta negli anni '70: in quegli anni ci sarebbe stato il passaggio da una «mafia tradizionale», in competizione per l'onore e il potere, a una «mafia imprenditrice» che avrebbe scoperto solo allora la competizione per la ricchezza.
In realtà, come ho avuto modo di chiarire in molti scritti, meno fortunati di quella gratuita ricostruzione, l'evoluzione del fenomeno mafioso è un intreccio di continuità e innovazione, per cui aspetti arcaici, come la «signoria territoriale», si coniugano con aspetti postmoderni, come l'uso di mezzi telematici per riciclare il denaro sporco. Ancora più gratuito lo stereotipo che vorrebbe un'antica mafia buona soppiantata da una mafia cattiva: i mafiosi che sparavano sui contadini e sui sindacalisti non erano meno spietati dei «corleonesi». Ma tant'è: «vecchia mafia» e «nuova mafia» sono stereotipi talmente radicati che anche adesso più d'uno non perde l'occasione per avventurarsi in un'ennesima scoperta dell'America, ignorando che la mafia è un sistema adattivo, dotato di un alto grado di elasticità, senza per questo essere un mutante alla deriva. Essa si adegua ai cambiamenti sociali ma non rinuncia all'uso della violenza, semmai dopo gli effetti boomerang dei delitti più eclatanti vi ricorre con maggiore oculatezza; svolge attività legali ma rafforza quelle illegali; si internazionalizza ma mantiene forte il legame con le radici territoriali.
Stando con i piedi per terra, le imprese operanti al Cantiere navale controllate dalla mafia sono miniimprese e se si confrontano i loro fatturati con le capacità di accumulazione della famiglia Madonia, che ha un ruolo rilevante nel traffico internazionale di droghe e dirige il mandamento in cui ricade il Cantiere, risulta ancora una volta ribadita la vocazione della mafia che nell'esercizio della signoria territoriale si inserisce in tutte le attività che si svolgono in una area determinata e ulteriormente confermata l'ipotesi della mafia attuale come mafia finanziaria e della prevalenza dell'accumulazione illegale: solo una parte dei capitali accumulati viene utilizzata per gestire attività imprenditoriali, come queste del Cantiere e le altre che risultavano dalla ricerca pubblicata nel volume L'impresa mafiosa. Il resto fluisce nei circuiti finanziari (la liberalizzazione della circolazione dei capitali e la globalizzazione favoriscono la simbiosi tra capitali illegali e legali) o viene reinvestito in attività illecite.
I perché dell'isolamento di Basile
Gioacchino Basile non è come qualcuno vorrebbe un solista ma un isolato. Il primo documento con cui denuncia il ruolo dei mafiosi nel Cantiere è un esposto alla Procura di Palermo, del maggio del 1987, firmato da 120 lavoratori. Successivamente Basile ha avuto un ruolo nell'organizzazione sindacale, è stato eletto nel Consiglio di fabbrica, ma ciò non è valso a fare della sua battaglia una battaglia collettiva, con il sindacato in testa, come ai tempi del movimento antimafia di massa. Basile si è trovato solo, sempre più solo, perché lui è rimasto dov'era e tutti gli altri hanno fatto più di un passo indietro.
Isolato dal sindacato, isolato dal Partito Comunista (nel dossier pubblichiamo una lettera ai dirigenti nazionali del PCI che non ebbe risposta), isolato anche dagli altri operai, almeno da un certo punto in poi. Sappiamo quanto poco affidabile sia la televisione, con la sua capacità di ridurre tutto a una poltiglia di frasi fatte e luoghi comuni, ma certo le cose che dicevano, e quelle che non dicevano, gli operai intervenuti a una recente trasmissione erano dettate da qualcos'altro che il panico del microfono.
Per qualche tempo accanto a Basile sono stati alcuni partiti politici, soprattutto la Rete, e alcuni soggetti della società civile, soprattutto l'associazione Coordinamento antimafia. Purtroppo era un periodo in cui la frammentazione era giunta al massimo, le contrapposizioni erano molto forti e ciò non ha consentito una solidarietà attiva più ampia e adeguata alla gravità della situazione.
Esemplare la vicenda del fallimento della convenzione antimafia proposta dal Centro Impastato nel 1988, quando a Palermo il problema era essere o meno sostenitori toto corde delle «giunte di primavera», che cercavano di avviare un processo di rinnovamento ma contenevano gravi contraddizioni, come la centralità della DC e la presenza di uomini di Lima tra gli assessori, tra cui figuravano anche personaggi come Vincenzo Inzerillo, già allora «chiacchierato» e successivamente incriminato per associazione mafiosa. La convenzione fallì per l'atteggiamento di parte della società civile ma soprattutto per le gravi carenze delle organizzazioni sindacali.
Il nostro intento, pubblicando questo dossier, è chiaro: invitiamo a ripensare quelle vicende, in cui si inserisce la vicenda Basile. Invitiamo i sindacati, i partiti, la società civile: chi è stato a fianco di Basile e da un certo punto in poi non c'è stato più; chi non c'è stato e vuole esserci, attribuendo alla sua vicenda il significato emblematico di spia di un'intera stagione, non definitivamente tramontata.
Chiediamo a tutti un atto di maturità che gioverebbe a superare la situazione attuale. Finora siamo riusciti a stringere le fila solo nei momenti di grande emozione suscitata dai delitti più eclatanti (Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino), per ritornare qualche tempo dopo alla dispersione e all'insularità. Discutere di ciò che è accaduto è necessario se non vogliamo ripetere gli stessi errori e deve essere la precondizione per rilanciare un lavoro unitario. I problemi che pone il Cantiere possono costituire la base di tale impegno.
Il Cantiere ha un futuro?
La vertenza attuale con la Fincantieri è a un punto decisivo. Il Cantiere rischia di essere ulteriormente ridotto e svenduto. La Fincantieri vuole smantellarlo e passare la mano; il governo nazionale è intervenuto con molto ritardo, ma è fin troppo chiaro che non ha una politica per il Mezzogiorno; quello regionale ha avallato il piano Fincantieri, ha disertato gli incontri e solo negli ultimi giorni ha dato qualche segnale di disponibilità; la Provincia e il Comune hanno dichiarato di essere a fianco dei lavoratori ma non è più il momento di solidarietà verbali. Il problema Cantiere non è una qualsiasi vertenza sindacale ma è un nodo essenziale per Palermo, per la Sicilia e per l'intero Mezzogiorno, un banco di prova su cui si verifica chi è amico a parole e nemico di fatto, e se le solidarietà sono solo formali o danno vita ad atti concreti. Gli operai hanno già avviato iniziative per incontrare e coinvolgere la città (anche se poi in alcune manifestazioni si sono registrati episodi che rischiano di aggravare l'indifferenza e di allontanare i cittadini). Con questo intendimento abbiamo lanciato un appello che vuole trasformare la vertenza-Cantiere in vertenza-Città. Abbiamo raccolto le prime adesioni e vogliamo sperare che non siano solo sulla carta.
Siamo solo ai primi passi e sappiamo che sarà dura: per la forza dell'avversario, per le ripercussioni dei processi di globalizzazione ed europeizzazione, per la forza di vecchi vizi duri a morire. Vogliamo ugualmente provarci. A partire da alcuni risultati che tutto sommato si è riusciti a conseguire: le denunce di Basile hanno trovato uno sbocco sul piano giudiziario; la città è cresciuta, anche se ci sono segnali contraddittori; a livello istituzionale è possibile stringere alleanze.
L'unanimismo non serve, anzi è dannoso, ma un ampio schieramento oggi è possibile. A patto che ognuno faccia per intero la propria parte.
Ps: Il Dossier in oggetto risulta da molti anni esaurito.

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