venerdì 18 aprile 2008

Esposto del 29 giugno 1992 consegnato informalmente al dottor Paolo Borsellino la sera del 25 giugno 1992

Esposto denuncia, che dopo espresso sollecito del Dottor Paolo Borsellino la sera del 25 giugno 1992, ho spedito a mezzo raccomandata il 29 giugno1992.
Quella sera il Dottor Paolo Borsellino, mi chiese ed ottenne una copia dello stesso, corredata da tutta la documentazione che formava il dossier.

al Procuratore della Repubblica di Palermo

al Procuratore generale presso la Corte D'Appello di Palermo
Epc
al Presidente della Repubblica

al Consiglio Superiore della Magistratura

al Ministro di Grazia e Giustizia

al Ministro dell'Interno

alla Commissione Parlamentare Antimafia

alla Commissione Antimafia dell'ARS

all'Alto Commissario Antimafia

 
Pre.mo signor Procuratore della Repubblica,
a seguito d'una testimonianza ampiamente documentata e disponibile nella persona del signor De Lisi Federico, già capo ufficio presso la Fincantieri di Palermo, e in seguito alle dichiarazioni rese sotto giuramento nel processo da me intentato contro la Fincantieri (in seguito al mio licenziamento) dal direttore dello stabilimento, il dottor Antonino Cipponeri, e in conseguenza dei primi concreti riscontri delle denunce da me sempre sostenute riguardo alla gestione dei Cantieri navali, espongo e denuncio quanto segue, nella viva speranza che le mie inquietudini possano trovare il giusto conforto dell'accertamento della verità.
Il mio intento, perdoni l'ardire, è quello di proseguire una battaglia ideale di liberazione dalla mafia che ha avuto inizio all'alba degli anni 70 e che conta oggi i suoi eroi e le sue vittime. Intendo, per quello che posso, contribuire a liberare dall'illegalità una parte importante di Palermo, rappresentata dal suo più grande insediamento operaio, i Cantieri navali.

Nel maggio 87, a seguito d'una ormai palese compromissione sindacale, coperta solo da atti strettamente formali, senza riscontro nel concreto della vita aziendale, l'inquinamento malavitoso appariva consolidarsi giorno dopo giorno, e il diritto alla sicurezza e al lavoro negato dal frequente ricorso alla cassaintegrazione. E a causa del proliferare di ditte che pagavano con salari di fame, i tantissimi lavoratori dell'indotto erano ingiustamente sfruttati. Tutto ciò garantiva alla Fincantieri prezzi bassissimi, agevoli per un mercato che non trova alcuna convenienza nella legalità, a causa del forte monopolio dei paesi orientali nel settore delle riparazioni navali.
Decisi di presentare un esposto a questa Procura della Repubblica con la speraza che si potesse riportare la legalità, lì dove la paura della gente consentiva all'azienda e ai comitati d'affari di oscurare una verità che era sotto gli occhi della città. Quel esposto, che sottoposi all'attenzione dei miei compagni di lavoro, nel giro di pochi giorni, e nonostante le intimidazioni, fu sottoscritto da ben 119 lavoratori.
Purtroppo, almeno da quanto ci è dato da sapere, quel esposto non ha prodotto alcun risultato, se non il fatto che alcune ditte di lì a poco e con grande celerità si trasformarono in cooperative, con i mezzi acquistati presso la famiglia Madonia (queste cooperative , nei primi mesi del 89, dopo una mia denuncia al direttivo Fiom Cgil del 29 dicembre 88, decisero di sciogliersi). L'azienda, per darsi un'immagine più veritiera al problema sicurezza, acquistava circa 30.000 tavole nuove tavole per ponteggi, per i lavori che sarebbero cominciati sulla nave SLOUG, che già si trovava in Cantiere per i lavori di pulizia, condotti da una cooperativa in odor di mafia.
Nel dicembre dell'88 il direttore di quel tempo (Cortesi) lasciava la dirigenza del Cantiere navale di Palermo, e un mese dopo si insidiava ufficialmente l'attuale direttore, Antonino Cipponeri. La nave SLOUG, per la quale erano nel frattempo terminati i lavori (con un disavanzo - a mio avviso da verificare - di 30 miliardi), nel gennaio 89 veniva sguarnita dei ponteggi e subito, fatto questo che apparve molto strano, le tavole smesse dai ponteggi furono composte in agevoli gruppi per essere spostate di lì a poco con mezzi pesanti.
Il fatto ci inquietò moltissimo: di solito il deposito delle tavole non veniva effettuato nel piazzale antistante la portineria, ma in altro luogo meno frequentato.
Proprio in quei giorni, oltre alla costante presenza dei fratelli Raffaele e Vito Galatolo, e a quella di loro parenti (occupati presso ditte o cooperative), notammo la presenza attiva del di loro fratello Vincenzo, che dopo anni di assenza, faceva nuovamente la sua comparsa all'interno del cantiere. Notevole fu in noi lo stupore quando, pochi giorni dopo, vedemmo il Vincenzo Galatolo, coadiuvato dai suoi parenti, trasportare all'esterno del Cantiere, servendosi di grossi TIR, quelle tavole come nuove. Seppure in presenza di compiacenti o paurosi silenzi dei miei compagni della Fiom Cgil, cercai di capire il senso di quella operazione, senza per questo ottenere risposte soddisfacenti; non riuscivo a capire come mai, anche in presenza di una eccedenza, quelle tavole fossero state svendute o regalate mentre quelle vecchie e usurate restavano in Cantiere.
Del prezzo di quell'affare e della effettiva quantità delle tavole in quel tempo non riuscì in un primo momento a sapere abbastanza. Le determinai approssimativamente a 30.000, poiché quella in difetto era la quantità minima stimabile sommariamente.
Le notizie filtrate parlavano di un omaggio coperto da atti formali. Di ciò non parlai mai, giacché fiutavo una trappola da parte di alcuni sindacalisti dei quali non mi fidavo più in alcun modo, temendo un loro tentativo di delegittimazione agli occhi dei compagni di lavoro. L'illegittimità di quell'affare appariva evidente agli occhi di tutti. L'azienda, diciotto mesi prima,aveva speso per quelle tavole circa un miliardo e trecento milioni riferito a tremila metri cubi di legname pari a 40.000 tavole. Un patrimonio aziendale veniva distrutto per assicurarsi la collaborazione attiva delle famiglie mafiose della zona, che a questo dirigente avrebbe garantito le omertà e i silenzi dei quali questo disegno industriale ( la liquidazione dell'efficienza del Cantiere) non può fare a meno.
Questo fatto mi dava la certezza che la Fincantieri, per l'anno 1989, intendeva accedere strumentalmente agli esuberi strutturali che prevedevano il prepensionamento a 50 anni - tanto caro all'indotto che ne avrebbe tratto vantaggio - e per questo fatto il deserto dentro al cantiere, in termini di occupazione, ricorrendo massicciamente alla cassaintegrazione, ottenendo così i famosi 52 miliardi erogati dalla Regione oer il rilancio del cantiere con la "riparazione dei bacini galleggianti".
Nell'agosto dell'89 scrissi su Dopolavoro Notizie una lettera aperta al direttore dello stabilimento (ne allego copia). La lettera era molto critica, ed il contenuto, se ingiustificato, avrebbe dovuto muovere a reazioni formali il destinatario. Vi furono invece reazioni d'altro genere, in presenza di un testimone, che ha già deposto in questo senso nel corso della causa da me intentata alla Fincantieri. Mai vi furono querele. Tutto ciò confermava le mie inquietudini. Non ero però in grado di trovare il giusto supporto documentale. In quel tempo ero Segretario Amministrativo del Dopolavoro Aziendale, e a seguito d quella lettera, fui più volte criticato (al limite della violenza fisica). Nella notte tra il 25 ed il 26 ottobre di quello stesso anno, la sede del Dopolavoro venne devastata, da alcuni vandali, arrestati la notte stessa dai Carabinieri della stazione Acquasanta. Convinsi il responsabile della Stazione dei Carabinieri che non poteva trattarsi d'una ragazzata, e li invitai ad effettuare un sopralluogo. Quando fummo sul posto, egli mi assicurò che, in quanto responsabile dei beni del Dopolavoro, io sarei stato sentito dal Giudice che quello stesso giorno avrebbe giudicato i fermati. Attesi invano tutta la giornata.
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(-Ndr maggio 2006 - Quel Maresciallo dei Carabinieri, nell'anno 1990, in occasione dell'operazione "Seat Port" fu chiamato in causa dal "pentito" Joe Cuffaro... ma non era certo di lui che avevo bisogno per farmi un'idea di quel Maresciallo... )
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Oggi, dalla certificazione antimafia, in data gennaio 91, prodotta dal Cipponeri nel corso del mio processo sul lavoro (certificazione qui allegata), risulta che l'amministratore unico della Si.PU.RI.NA. e un certo Ingrassia Gaetano, nato ad Amantea il 12 marzo 1951. Questo signore abita a Palermo in via Passaggio S/4, nella zona Sperone-Brancaccio, la stessa zona di provenienza dei teppisti che la notte tra il 25 ed il 26 ottobre 89, devastarono il dopolavoro. Ho saputo della borgata d'appartenenza di costoro da altri componenti del direttivo amministrativo dello stesso dopolavoro, i quali erano anche responsabili sindacali del cantiere. Chissà come è perchè essi ne erano a conoscenza. Quando chiesi al direttivo amministrativo la costituzione di parte civile contro i teppisti, gli stessi personaggi a conoscenza di ciò che ignoravo, pretesero di votare col documento quì allegato che il risarcimento equivalesse alla cifra simbolica di lire 1000
Il 18 ottobre dell'89, presso la sede dell'INTERSID, si era svolto un incontro tra i dirigenti dell'azienda ed i sindacati, riguardanti i carichi di lavoro, molto esigui (a quel tempo dei circa 1700 dipendenti, ben 1100 erano in cassaintegrazione).
Ritenuta insoddisfacente la risposta del sindacato, chiesi che fosse data notizia sull'esito dell'incontro ai lavoratori. I responsabili sindacali tergiversavano, e iniziarono un gioco a scaricabarile; era stato deciso che l'assemblea non si facesse: era chiarissima ormai la subalternità del sindacato o l'incapacità a resistere a un disegno che a tutto oggi rimane inconfessato e inconfessabile.
Il 2 novembre 89 fu organizzata un'assemblea sciopero permanente che, inizialmente, godette della quasi totale partecipazione dei lavoratori. Nel giro di poche ore, tale partecipazione si fece più debole, per la presenza nel cantiere di personaggi in odor di mafia e loro fiancheggiatori e l'opera di persuasione effettuata dai dirigenti sindacali, che paventavano un licenziamento per abbandono del posto di lavoro. Alle ore 12 eravamo rimasti soltanto in cinque. Interrompemmo la protesta alle ore 8,30 del giorno successivo. Il sindacato ci aveva promesso un comportamento più dignitoso.
Sono qui allegati il volantino che distribuimmo ai lavoratori e il comunicato stampa. Il fatto ebbe grande risalto nella stampa locale e nazionale. L'azienda, per motivi d'immagine (e per i 52 miliardi della Regione), corse ai ripari, mettendo anzitempo in lavorazione le commesse Grimaldi, che dovevano avere inizio nel febbraio 90. Con nostro sommo stupore, il mese successivo vedemmo rientrare in Cantiere più di 2000 tavole, certamente non nuove, non quanto quelle vendute in precedenza. Quelle appena arrivate erano vecchie, anche se nell'insieme ancora utilizzabili. Chiesi notizie sul come e il perchè di quell'acquisto, e a quale titolo quelle tavole fossero rientrate in Cantiere. Non ebbi alcuna risposta. Se non telefonate silenziose e minacciose.
La dirigenza aziendale si adoperava intanto per screditarmi e delegittimarmi agli occhi dei compagni di lavoro. L'anno 1990 fa parte della cronaca pubblica, fino al 13 novembre, giorno del mio licenziamento (divenuto allontanamento coatto dopo la sentenza a me favorevole di reintegrazione, pronunciata dal Giudice del lavoro Antonio Ardito.
(-Ndr maggio 2006- nell'esposto riferisco di cronaca pubblica, per confermare che la Procura della Repubblica non poteva non sapere che, l'anno 1990, avvennero i seguenti fatti: arresto dei Galatolo, la nave "Big Jhon" dentro lo stabilimento navale, la mia espulsione dalla Fiom Cgil e le mie denunce pubbliche sempre riprese dai media nazionali e locali: oltre alle tv, gli atti intimidatori sempre denunciati e ben conosciuti anche dal Capo della polizia Parisi ecc...)
Nei primi mesi del 91 fui avvicinato dal De Lisi Federico, al quale chiesi spiegazioni in merito alle modalità formali dell'affare delle tavole. Egli mi spiegò verbalmente l'operazione, e la preoccupazione seria che aveva prodotto nei dirigenti la mia lettera aperta di cui sopra. Fu tale preoccupazione che determinò la scelta di ricorrere nel dicembre dell'89- dopo otto mesi – ad una risibile quanto inverosimile nota credito per erroneo invio. Fu a quel punto che le confidenze del De Lisi confermarono le mie tesi originarie, tanto più che lo stesso ebbe a spiegarmi che l'operazione era stata transata con i lavori effettuati (?) dalla ditta SI.PU.RI.NA.Fu in questo contesto che il mio legale, in sede di audizione dei testimoni, pose all'ingegnere Antonino Cipponeri, soltanto domande inerenti all'affare tavole. Nelle sue dichiarazioni, rilasciate sotto giuramento, il Cipponeri avrebbe affermato palesemente il falso quando sostenne che le tavole furono regolarmente pagate e non transate con il lavoro vero o presunto effettuato dalla SI.PU.RI.NA., negando perfino un rientro seppure parziale, a qualsiasi titolo, delle tavole in questione.
L'ing. Antonino Cipponeri, nel mio processo del lavoro ha esibito i documenti qui allegati: il certificato antimafia di cui sopra, due fatture risultanti in piena conformità con gli appunti del De Lisi, i quali certificano l'avvenuta transazione per il prezzo della vendita delle tavole (una per lire 77.406.405, riferita a metri cubi di tavole 564,33 e una di lire 74.406.216, riferita a metri cubi di tavole 547,36).
Il Cipponeri, sotto giuramento, ne sostenne il pagamento a sessanta giorni. Peraltro, le fatture emesse, rispetto a quelle d'acquisto, sono di un risibile ammontare. Allo stesso potrebbe ad esempio chiedersi copia degli assegni per il pagamento. Leggendo le fatture in oggetto, ho individuato, a mio avviso, l'imbroglio che qui vi argomento.
La prima fattura parla di metri cubi 564,33 e fà riferimento a ben 63, bolle d'accompagnamento. La seconda in ordine di tempo parla di metri cubi 547,36, e fà riferimento a ben 47, bolle di accompagnamento. Dunque, valutando i metri cubi di differenza, che sono 17, e la differenza delle bolle che sono 16, i conti non sono più tornati.
Pochi metri cubi e troppe bolle di accompagnamento. Ciò potrebbe significare che molti camion con rimorchio hanno viaggiato con poche decine di tavole: Io invece ricordo benissimo d'aver contato le tavole che venivano trasportate sia dai camion adeguatamente sguarniti di sponde, e dai rimorchi ad essi molte volte attaccati. In ogni camion venivano caricate quattro imbracature di tavole da 64. Quindi, ben 256 tavole per ciascuno. Lo stesso dicasi per i rimorchi.
Inoltre, guardando attentamente le fatture in oggetto vedo che mancano d'una componente essenziale: oltre ai metri cubi va specificato per legge il numero delle tavole corrispondenti. Ciò che nel caso specifico è stato artatamente omesso. Sommando i metri cubi complessivamente indicati nelle due fatture, si ha la cifra di 1.111,74 metri cubi, pari a circa 15.000 tavole. Ricordo benissimo che tutte le uscite dei camion, con o senza rimorchio, caricati con le modalità e i numeri sopra citati, venivano seguite personalmente dal capo dei guardiani, tale Giuseppe Lo Galbo, e da un altro guardiano oggi in pensione, tale Stefano Salerno, i quali stavano a stretto contatto con il Galatolo Vincenzo. Chiunque, me per primo, pensava che i due uomini di fiducia dell'azienda controllassero gli interessi della stessa, anche se il fatto che uscissero le tavole come nuove e restavano in Cantiere quelle vecchie non poteva dare all'affare il crisma della legalità.
Cosa accadeva dunque? I finanzieri del varco doganale del Cantiere potevano non insospettirsi solo davanti ad atti formali, anche se ambigui, che comprendessero la regolare bolla d'accompagnamento e la presenza di chi ha la responsabilità del patrimonio aziendale. Cosicchè, i finanzieri, in caso di spiacevoli evenienze, avrebbero potuto dire: è vero che non ci siamo accorti di nulla, del fatto che mancasse il riferimento al numero delle tavole, ma è stata una distrazione veniale, dovuta al fatto che ci siamo fidati della presenza di chi è la massima autorità di sorveglianza del patrimonio aziendale. Tutti facevano finta di niente, ed ogni singolo camion, che trasportava come minimo 256 tavole, pari a 19 metri cubi, ed ogni camion con rimorchio, che ne caricava quindi almeno 512, per 38 metri cubi, uscivano dal Cantiere con una bolla di soli 10 metri cubi (poiché abbiamo1.111,74 metri cubi, contro 110 bolle d'accompagnamento). Come dire che camion e rimorchi avevano viaggiato per circa tre settimane caricando un terzo delle loro abilitate possibilità legali.
A supporto di questa ricostruzione, abbiamo altresì la corrispondenza intercorsa tra Fincantieri e SI.PU.RI.NA., che parla espressamente di 40.000 tavole, corrispondenza esibita al mio processo del lavoro dal Cipponeri Antonino: Abbiamo altresì le sue dichiarazioni sotto giuramento che parlano di un esubero delle tavole pari a 30.000 unità, ed altresì del De Lisi Federico, presi dalla documentazione "Commessa 5.1. 0515. 300.00" del 2-3 -89, inerente alla vendita di 40.000 tavole.
Il capo dei guardiani Lo Galbo Giuseppe ed il guardiano oggi in pensione Stefano Salerno (residente a Palermo in Corso Calatafimi 509 tel 59......., se adeguatamente messi di fronte alle loro responsabilità, potranno certamente raccontare meglio la faccenda. A mio avviso essi sono complici per necessità, costretti dagli organi aziendali. Il Cipponeri, al mio processo del lavoro, ha altresì esibito una risibile nota credito senza per questo menzionarla: parava il colpo in anticipo, nel caso avessimo insistito sull'inispiegabile rientro di 2.200 tavole dopo ben nove mesi dalla vendita. Leggendo questa nota credito, possiamo definitivamente comprendere la manovra in atto.
La nota credito per erroneo invio detta così: metri cubi 165,75 pari a 2.200 tavole, ed omette ancora una volta un dato importante, che poteva suscitare un giusto approfondimento da parte del Giudice del lavoro (il riferimento alle bolle alla quale quali è legata la nota credito). Questa ulteriore conferma potrà esser facilmente verificata. Per quello che mi riguarda, fin d'adesso sono certo che queste bolle non sono più di sei.

 
Signor Procuratore, in buona sostanza, stando a tale ricostruzione dei fatti, il Cipponeri Antonino avrebbe potuto regalare, quello che in ogni caso per la Fincantieri rimane un patrimoniodi circa un miliardo e trecento milioni, e ciò per garantirsi l'amicizia ed il sostegno dei Galatolo e la gestioned'un disegno industriale che offende ed umilia la dignità dei lavoratori.
Mi permetto di ricordare alla SV che le tavole in questione, anche se usate per una commessa, erano come nuove, essendo esse stesse uno strumento di lavoro di lunghissima durata. Questo potrete verificarlo accertando gli acquisti delle tavole per ponteggi, nell'ultimo ventennio. Vi accorgerete che il loro acquisto si ditata molto nel tempo, e che mai era avvenuta una cosa del genere. Da giovane ho fatto il pontista con una ditta che operava all'interno dei Cantieri, e sui ponti, per conto del Cantieri, in qualità di montatore navale, ho lavorato per ben 21 anni. Sono quindi a disposizione della SV. Per spiegare adeguatamente il come e il perchè esse sono un patrimonio di grande importanza per un Cantiere che opera prevalentemente nel settore delle riparazioni navali.
Allego le dichiarazioni sotto giuramento dell'ingegnere Antonino Cipponeri, un tabulato della Fincantieri, che comproverebbe la falsità di tali dichiarazioni, e una copia degli appunti manoscritti presi (prima del suo licenziamento), dal De Lisi Federico che si è detto disponibile a confermare in sede processuale le notizie quì documentate, e a far luce su altri inquietanti episodi inerenti la gestione dell'azienda, documentati peraltro nel ricorso d'Appello da lui presentato al Giudice del lavoro, Pellino nel settembre 91. Allego altresì copia delle fatture esibite dal Cipponeri al mio processo del lavoro, la nota credito, la corrispondenza intercorsa fra SI.PU.RI.NA. e Fincantieri e il certificato antimafia esibito per conto del rappresentante legale della SI.PU.RI.NA.

Con fiducia
Gioacchino Basile

(il teste che volentieri testimonierà, Federico De Lisi, è residente a Palermo in via Aloisio Juvara... )
Post scrptum: prego di voler dare notizia- così come previsto dalla legge – della eventuale archiviazione.
Per meglio capire cosa accadde poi; leggere la relazione della Commissione Antimafia ( l'unica che ordinò le serie indagini di merito alla Polizia Giudiziaria) che unitamente alle argomentazioni rese nella lettera aperta, senza inequivocabili chiarimenti da parte della Procura della Repubblica di Palermo, indicano il movente della strage di via D'Amelio.... tutto il seguito non poteva accadere con Paolo Borsellino vivo.

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