venerdì 18 aprile 2008

E-mail a Manfredi Borsellino, figlio di Paolo Borsellino (luglio 2003)

Luglio 2003
E-mail a Manfredi Borsellino, figlio di Paolo Borsellino
Caro Manfredi, il 2 giugno us. il nostro Presidente della Repubblica, ha solennizzato il valore della nostra Costituzione Democratica, ed invitato alla concordia, la classe politica di governo e d’opposizione del nostro Paese.
Alla luce della mia storia e della storia della nostra comunità, sentivo le parole del nostro Presidente come una beffa, come un’ulteriore inganno ma, poi la ragione prevalse ed ammisi a me stesso che stavo sbagliando nel criticare un uomo, che giorno e notte deve confrontarsi, con le miserie dei tanti feroci nani, che da destra a sinistra per meschini fini personali avvelenano la vita democratica del nostro Paese.
Il 2 giugno, erano già trascorsi ben 96 giorni dal momento in cui la Procura di Caltanissetta aveva ricevuto una mia missiva, (assicurata – raccomandata) con la quale chiedevo che, là dove si fosse accertata la fondatezza delle mie critiche ad un PM della Procura della di Palermo; in ordine alla strage di via D’Amelio, chiedevo d’essere ascoltato in condizioni di serenità ed in modo formalmente corretto, per informare la Procura di Caltanissetta, dei fondati è documentati sospetti che dal mese di febbraio 2001, affollano la mia mente: vero è che, la richiesta era subordinata alle loro indagini, in ordine alle mie liti Giudiziarie con quel Magistrato ma, è altrettanto vero che, data la gravità delle dichiarazioni che intendo fare, quei Magistrati imprigionando le mie argomentate dichiarazioni dentro i verbali Giudiziari, avrebbero avuto più forza per farsi largo, sia nei possibili e meschini secondi che potrebbero indurmi ad alzare la posta in gioco che, (là dove i fatti da me esposti avessero anche agli occhi dei Magistrati acquisito dignità probatoria) dentro l’infernale verità di quei tuguri statalisti che hanno deindustrializzato il sud del nostro Paese, senza predisporre altre serie è valide alternative occupazionali, certi utilizzando le funzioni regolatrici dei criminali di natura endogena che alla luce dei miei argomentati è documentati sospetti) ha deciso, non solo la morte di Suo Padre e di altri cinque onesti servitori dello Stato ma, là dove si conclamasse Giudizialmente questa mia solida è ricca tesi probatoria, arriveremmo con estrema naturalezza al movente delle stragi dell’anno 1993, dove gl’infami “uomini” (?) di “cosa nostra”, a mio solido convincimento, saziarono la loro vendetta contro “quei poteri occulti” dello Stato e della politica, che prima li avevano utilizzati in funzione regolatrice e poi li avevano traditi.
Per quelli come me, la Magistratura aveva solo il volto di Suo Padre, di Giovanni Falcone e dei tanti altri Magistrati massacrati a Palermo e nel nostro Paese, dall’infamia politica e criminale: in virtù di questa forte convinzione, mi auto ingannavo, anche di fronte ai pesanti dubbi, che affollavano la mia mente; mi rifiutavo di guardare in faccia questa possibile verità.
Non c’era obiettività in me: avevo paura di quella prospettiva che ucciderebbe definitivamente le mie speranze, in quella che, mi piaceva è mi piace ancora oggi, definire “la roccia, sotto la palude” sulla quale noi Palermitani potremmo poggiare i solidi pilastri per costruire il nostro sogno di libertà.
Questi lunghi anni, alla luce del mio stoico fatalismo, non sono stati anni negati alla verità; anzi, è stato come se la sorte consapevole della mia estrema solitudine, prima di far luce dentro le mie ragioni e dentro l’animo mio, avesse voluto far maturare tutte le inoppugnabile condizioni, che potessero consentirmi di armarmi adeguatamente, per poi guardare dentro un contesto mai esplorato con sereno coraggio è forte determinazione.
Volevo è voglio, mettere dentro i verbale Giudiziari quei fatti, quei documenti, quel
contesto ed i nomi dei suoi protagonisti, senza per questo lasciarmi trascinare dentro l’offesa gratuita nei confronti della mia od altrui onorabilità.
Ma, ancora oggi ed anche in presenza del fatto che, ho precisato per iscritto ad altro Magistrato queste mie perplessità, nessuno sembra avere interesse ad ascoltarmi.
Conclusi la lettera a quel PM degno di stima, affermando che avrei atteso fino alla data odierna, un segnale inequivocabile della Procura di Caltanissetta o del Dottor Pierluigi Vigna ma, questo segnale di buona volontà non è ancora arrivato; costringendomi a rendere pubbliche queste mie perplessità, anche a costo di fare incendiare le moltissime code di paglia, che da ciò trarranno profitto per tentare l’aggiustamento anche dei fatti evidenti è documentati e per tentare di costituirmi altri problemi esistenziali: ma, fin d’adesso dico loro, che finchè non ci saranno dei Magistrati che motiveranno per iscritto l’incongruenza dei miei fondati e legittimi sospetti “cosa nostra” ed i suoi possibili indegni compagni di merenda, avranno addosso il palermitano Gioacchino Basile: un umile operai di borgata; un soldato che la sorte ha armato adeguatamente con la profonda conoscenza dell’infamia subculturale, sociologica, criminale e politica a tutti i livelli.
Il Presidente del Consiglio, che altri miei concittadini mi hanno imposto, è stato indagato per molti anni: un presunto “pentito” aveva dichiarato, che forse dai si dice e non si dice di Totò Reina, Silvio Berlusconi era il nuovo referente politico di “cosa nostra”: bastarono alcune frasi dette da un rozzo ignorante e lurido assassino per mettere alla gogna Giudiziaria e Internazionale, l’onorabilità d’un uomo che sicuramente come tutta la classe imprenditrice del globo terrestre, non è un santo degno di altari religiosi ma, che nella sua veste economica ed Istituzionale, andava quantomeno tutelato con il segreto istruttorio, fino a prova contraria.
Ancora una volta la parola d’un mercenario, “un pentito”(?) sembra valere più di quella degli uomini liberi che sfidano il male in ogni suo risvolto per amore di quegli ideali pagati con il sangue dei nostri eroi; non scordiamoci che mai, a nulla valsero le tantissime denuncie che feci insieme ai miei compagni di lavoro nei confronti di “cosa nostra” è la pubblica solidarietà della gente della borgata, che nell’ottobre del 1994 per ben 700 volte e singolarmente, scrisse all’allora Presidente della Commissione Antimafia ON. Tiziana Parenti, chiedendole di ascoltarmi in ordine alle nostre ragioni umiliate e la scandalosa vicenda di cui ero vittima anche con il tradimento Istituzionale e l’ingiustizia Giudiziaria: l’allora Presidente della Commissione Antimafia mi ricevette alle ore 14 del 20 ottobre a Roma; a Lei consegnai un inoppugnabile è scandalosa documentazione in riguardo ai fatti.
Tutti eravamo convinti che la Tiziana Parenti potesse o volesse fare qualcosa, ma...
In un Paese normale, un comune cittadino, un uomo, che ha votato la sua esistenza alla difesa della libertà e dei valori sanciti nella nostra Costituzione Democratica non avrebbe la necessità rendere pubblici quei dubbi che lo hanno inquietato per circa nove anni è che da circa sei mesi a seguito di una certezza empirica; della lettura dei suoi appunti post mortem; delle indagini documentali e di una lunga sequenza d’indizzi convergenti è convintissimo che il quadro assunto, ha dignità di sospetto fondato; di ragione che giorno e notte gli piange davanti e chiede Giustizia.
La nostra Comunità ha sempre sofferto il condizionamento della mafiosità politica e di pezzi importanti delle Istituzioni che nella radicalizzazione dello scontro politico cosiddetto antimafioso, hanno coperto è di fatto agevolato la capacità contrattuale ed intimidatrice di “cosa nostra” ed abbandonato inermi, i Siciliani all’arbitrio degli interessi costituiti, senza distinzione di colore politico.
Se sono veri, così come sono veri, il contesto lo scenario ed i protagonisti che voglio mettere all’attenzione della Magistratura, allora è altrettanto vero che forse sono ad un passo della verità, di quella verità che da cinque mesi non riesco a mettere a verbale di fronte ai Magistrati.
Nella nostra comunità, si sà, ormai è storia vecchia il fatto che, la giusta sintesi della verità diventi la stessa causa del silenzio per spirito di sopra vivenza; nella folle acquiescenza al dogma di poter così sopravvivere all’inferno in cui si è costretti a vivere ed ad esercitare le professioni esistenziali nelle migliori condizioni possibili; cosi chè, gli uomini valorosi delle Istituzioni muoiono per mano criminale, ed altri di questi morti si fanno immeritatamente scudo, per continuare ad esercitare la loro piccineria morale, professionale è politica.
Detto questo, prego umilmente i tantissimi onesti, militanti nelle professioni Istituzionali, di lasciare solo alle code di paglia, il compito di costituirmi problemi Giudiziari ed altro: a quei politici che si sono guadagnati le posizioni di potere con la logica mafiosa ed a quelli che invece hanno utilizzato quella antimafiosa (?) per eccellenza, dico avanti prego; impaziente, vi stò aspettando al varco.
Manfredi, in Piazza XIII Vittime c’è un monumento in ricordo ai caduti contro la mafia; quel monumento fù donato alla nostra città dalla Fincantieri: la base di quel monumento (un pentagono) per strana finalità della sorte, fù montato dall’operaio è sindacalista Gioacchino Basile; ciò accadeva mentre “cosa nostra” imperava indisturbata, dentro il cantiere navale è mentre le Istituzioni anche Giudiziarie ignoravano (sic.) le mie denunce sempre sottoscritte dai miei compagni di lavoro ma, la cosa che si rivelò ancora più infame fù quella che, quel monumento in quella Piazza lo montarono proprio gli sciacalli legati a “cosa nostra”.
Quel Monumento deve essere lavato dall’inganno ed io non avrò pace, fino a quando non ci sarò riuscito; a qualsiasi costo....
Gioacchino Basile

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