venerdì 18 aprile 2008

Appunti per un progetto studio sulle modalità dell'infiltrazione criminale nel mondo del lavoro.

GIOACCHINO BASILE: APPUNTI PER UN PROGETTO STUDIO SULLE MODALITÀ DELL’INFILTRAZIONE CRIMINALE NEL MONDO DEL LAVORO.
AMBITO: piccole e grandi imprese, anche pubbliche del settore industriale ed edile..... analisi del contesto delle imprese, indotto e la forma holding, cooperative e ditte.

FONTI: rassegna stampa sui problemi del lavoro, pubblicazioni dei centri studio, documentazione sindacale, commissione antimafia, collaborazione di sindacalisti e di lavoratori ai quali si chiederà di produrre dossier ed altri materiali utili come strumenti di conoscenza, utili al rapporto conclusivo del progetto studio.

PREMESSA

Il punto di partenza di questa riflessione, di questa ricerca sta nel tentativo di mettere a fuoco un fenomeno socio-economico già fortemente radicato al sud del nostro paese con i risultati che tutti conosciamo.
Oggi, alla luce del nuovo scenario europeo è fondamentale interesse di tutte le parti in causa, cominciare a ricostruire un punto di equilibrio che ci consenta di isolare questo fenomeno che fida molto sulle “umane” strategie del maggiore profitto o del profitto ad ogni costo, ed ha cominciato da tempo ad insinuarsi anche nell’economia legale del Paese intero, ove con le maggiori opportunità offerte dalle nuove leggi per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione, può inserirsi mortalmente, nel senso letterale della parola, alla base del loro funzionamento, sostituendosi alla loro attuazione concreta; imponendo altre regole e altre authority stravolgendo le regole del mercato, della leale concorrenza e dei diritti dei lavoratori.Purtroppo la superficialità e la corruttela politico-imprenditoriale hanno fatto del nostro paese una comunità economico-produttiva che molte volte può essere messa in ginocchio semplicemente applicando le leggi.
L’analisi che andremo a sviluppare, riporta fatti empirici, notizie stampa mai smentite e altri autorevoli contributi e metterà in risalto questo spiacevole aspetto che non vuole essere assolutamente un’offesa generalizzata all’economia socio-produttiva; ma un utile e convergente punto d’approfondito dialogo che frutti migliori condizioni a tutela della libera imprenditoria, dei lavoratori e della società civile più in generale.
ANALISI DEL FENOMENO E SUOI GANCI NATURALI.

La criminalità organizzata si struttura nel territorio in modo assai “affidabile”... Il suo obiettivo primario non è mai quello di rovesciare l’ordine delle cose con le minacce e gli atti intimidatori, (così come descritto nella letteratura ricorrente) bensì quello di adattarlo secondo i propri interessi costruendo un rapporto di convenienza e sudditanza con l’impresa avvicinata alla quale eliminerà i problemi oppositivi l’uno dopo l’altro. La più perniciosa e pericolosa organizzazione criminale è senz’altro “Cosa Nostra” modello al quale si sono successivamente ispirati altri modelli Criminali di natura esogena imperanti prevalentemente al Sud del nostro paese.“Cosa Nostra” ha sempre navigato nella scia di una gestione politica, sociale ed economica di tipo feudale ancor oggi attivissima e forte in Sicilia; capace di adattarsi ai tempi e di “rinnovarsi” tutte quelle volte che viene scalfita dall’attenzionamento giudiziario, al quale riesce a sfuggire nell’intierezza del suo quadro, grazie alle gravi e latenti compromissorietà in ogni ordine e grado della comunità siciliana e da quella “ragione di Stato” ostaggio nel presente così come nel passato dell’ordine pubblico e della stessa tenuta democratica che questo sistema feudale (affaristico, sociale ed economico) è ancora oggi in grado di gestire.Il ricatto prioritario di questo sistema è quello sul lavoro e sui bisogni dei cittadini.
Un sistema che attraverso il controllo sistematico di tutte le operatività socio-istituzionali riesce a piegare alle sue ragioni chiunque intenda metterlo in discussione; i suoi attori sono formalmente organizzati in tutti i partiti più importanti e nelle associazioni socio-economiche più rilevanti e si insinuano da protagonisti negli accenni di rinnovamento che poi diventano quasi sempre “pseudo-rinnovamento” sempre adattati alla sua tenuta politico-clientelare che per sua natura culturale già oggettivamente predispone il naturale gancio a “Cosa Nostra” che garantisce le condizioni ambientali di totale omertà.“Cosa Nostra” è essenziale stratega all’interno di questo contesto che per sua tenuta ha bisogno del controllo della verità per reinterpretarla e limitare i “danni” ogni qualvolta l’attività giudiziale può attivarsi e metterla a nudo.“Cosa Nostra” non è la causa, bensì l’effetto di una filosofia, economica e politica che punta alla negazione di uno sviluppo trasparente che può indurre i cittadini ed i lavoratori a partecipare con vera convinzione ad estirpare la mafia ed il malessere che la produce.Il male oscuro della Sicilia e del Sud più in generale, sta tutto dentro questa analisi che sostanzialmente ha visto potere economico, potere politico e imprenditoria agire in perenne mutua assistenza con la criminalità organizzata, fino a strutturarsi pericolosamente nella cultura economica dominante: la loro rapacità, in virtù delle leve umane sulle quali agiscono (bisogni economici, sicurezza personale, ecc.) acquisisce la caratteristica di quella “invisibilità” che ha consentito loro fino ai nostri giorni di non far corrispondere quasi mai le circostanze nelle quali si sono consumati i delitti contro i lavoratori e contro le comunità con i tempi in cui, prima l’attività giudiziaria e poi quella socio-politica ne hanno preso atto: ciò non è un fatto conseguente “la bravura” degli attori in oggetto, bensì il risultato d’un radicamento delinquenziale e filosofale che ha goduto anche di coperture istituzionali, ciò è accaduto specialmente nelle vergognose deindustrializzazioni delle aziende a partecipazione statale, ove sono state socializzate “ le perdite” e privatizzati i guadagni, sulla pelle dei lavoratori e sui beni dello Stato.Nelle deindustrializzazioni pubbliche e nella gestione dell’industria a partecipazione statale la criminalità organizzata ha puntato essenzialmente sul pesante condizionamento politico-affaristico, che a fronte dei danni prodotti ha garantito la socializzazione delle perdite e ha accentuato “l’inadeguatezza sindacale” specialmente laddove la criminalità organizzata è più radicata; in questo contesto attraverso i ganci affaristici della politica nella classe forense e forse anche nella magistratura civile, è stata negata ogni benché minima possibilità di giustizia ai lavoratori che a questo contesto si sono opposti.A Palermo la Fincantieri, grazie alle garanzie politico-istituzionali e sociali ha occultato la presenza mafiosa nello stabilimento di Palermo e negato giustizia normativa ed economica ai lavoratori che si sono rivolti ai giudici, grazie al quasi totale controllo della classe forense palermitana. Oltre ai fatti già accertati dall’attività giudiziaria sulla presenza mafiosa in quel cantiere, porto ad esempio alcuni momenti significativi in ordine alla cassaintegrazione che per più di un decennio fu usata non per il suo fine sociale bensì come arma ritorsiva contro i lavoratori e come porta d’ingresso per l’indotto palermitano sudditante a “Cosa Nostra”:autunno 1987: un lavoratore che riteneva ingiusto il fatto che fosse stato messo per circa venti giorni in cassaintegrazione per fare largo alle ditte ed allo spropositato straordinario di alcuni suoi compagni di reparto ricorse al giudice. Dopo la discussione e un momento prima della sentenza, l’azienda per sfuggire a un verdetto sfavorevole propose una transazione che riconosceva al lavoratore più soldi di quelli che in effetti chiedeva; e il lavoratore accettò. Il giorno dopo lo stesso lavoratore pubblicizzò in tutto lo stabilimento il fatto... nei giorni a seguire centinaia e centinaia di lavoratori si rivolsero allo stesso avvocato che quella causa aveva concluso positivamente. Molti di loro avevano ragioni ben più pesanti del lavoratore che aveva avuto indietro il maltolto: ma di quei lavoratori nessuno ebbe giustizia, e nessun altro ne ottenne più nel futuro. È in mio possesso tutto un processo civile in cui il lavoratore perderà la causa per il ricorso alla cassaintegrazione perché l’avvocato non presenterà nei tempi stabiliti la documentazione e poi dopo la sentenza sfavorevole negherà con vari palliativi la documentazione processuale al dipendente (che aveva capito l’infame giochetto) in tempo utile per proporre appello. La Fincantieri da Castellammare di Stabia a Marghera (VE) ha risarcito quei lavoratori che proposero ricorso contro la perversa gestione della cassaintegrazione: a Palermo, ove questo ammortizzatore sociale fu usato anche per favorire “Cosa Nostra” e il suo circuito di corruttele, la Fincantieri riuscì a vincere tutte le cause proposte grazie alla negazione di ogni benché minimo diritto alla difesa dei lavoratori nei tribunali. Le mie stesse vicende giudiziarie contro la Fincantieri m’hanno visto poi soccombere grazie all’infame e infedele patrocinio di avvocati che si dicono progressisti e antimafiosi. Analizziamo adesso i tre “ganci naturali” prodotti dal condizionamento politico-affaristico e clientelare, utili all’infiltrazione criminale nel mondo del lavoro, delle deindustrializzazioni e del settore pubblico più in generale.Mancanza di professionalità
Gestione appalti per interessi personali
Truffa
Mancanza di professionalità: questo problema è piuttosto comune nelle grandi aziende a capitale pubblico i cui organigrammi non sono stati studiati e realizzati secondo le necessità degli obiettivi aziendali curando che persone giuste siano al posto giusto; in tali aziende vige la regola che il fritto va realizzato con l’olio di cui si dispone, pertanto si avverte spesso la presenza di individualità senza competenze specifiche. Tra l’altro la mancanza di tempi di approfondimento, costringe gli addetti a studiare contratti e specifiche senza variarne tutti i risvolti causa di future contestazioni, pertanto le ditte appaltatrici consapevoli di tali difficoltà naturali, sono organizzate con delle figure professionali specifiche il cui unico compito è quello di studiare contratti e modalità per trovare in corso di realizzazione dei lavori appigli contrattuali per la richiesta di extra compensi che ottengono quasi sempre con facilità. Un aspetto più significativo dell’argomento di cui sopra è che, molto spesso le ditte consapevoli di tale dato e forti dell’intimidazione criminale, mettono fuori gara le ditte concorrenti buttando giù le proprie offerte con la certezza del futuro recupero... dimodoché le ditte professionalmente più valide che non hanno collegamenti nel circuito delle corruttele e con la criminalità organizzata vengano fatte fuori. I disastri economici derivati da tale gestione vengono sempre mascherati o talvolta scaricati sul cliente per cui le aziende realizzano il progetto di cui fa parte l’appalto perdendo in credibilità con ulteriori danni d’immagine. La gestione tecnica di contratti realizzati con documentazione scarsamente dettagliata, inoltre è soggetta ad interpretazione e nella sostanza mette il settore tecnico incaricato del controllo nelle comode condizioni di non individuare sempre tutte le competenze contrattuali della ditta appaltatrice. Tali aspetti hanno una ricaduta economica diretta e molto spesso coprono compiacevolmente la ditta appaltatrice per i ritardi nell’esecuzione, creando gravi problemi alle aziende; anche per questo aspetto le ditte appaltatrici usano le figure professionali adatte per trovare risvolti formali relativi ai tempi di esecuzione dei lavori scaricando le responsabilità sulle aziende appaltanti anche grazie alle “sue debolezze interne”. Se poi in presenza di lavori di una certa complessità si decide di appaltare per tipologia a diverse ditte separatamente, le aziende pubbliche si troveranno spesso al centro di situazioni limite che le porteranno a non essere in condizioni di individuare responsabilità specifica in presenza di errori e dovranno farsi carico oltre che delle responsabilità anche delle ricadute economiche negative.
Gestione appalti per interessi personali: questo argomento si inoltra in situazioni molto più complesse che agevolano la corruttela creando danni economici rilevanti alle aziende specialmente del settore pubblico la cui ricaduta si scarica sull’interesse della comunità. Come tutti sappiamo la “new age” di gestione dell’azienda è proiettata a dare in appalto la quasi totalità dei lavori trattenendo solo la gestione produttiva per non trovarsi in situazioni di calo di lavoro con consistenti spese di salario in presenza di numerosi addetti: negli anni scorsi questo problema le aziende pubbliche non se lo ponevano perché avevano a disposizione la cassaintegrazione (di cui abbiamo già parlato). In tali condizioni le aziende giorno per giorno eliminavano l’esecuzione diretta di lavori inerenti una fase del contratto epurandone i dipendenti e rivolgendosi all’indotto; non sempre tuttavia esistevano sul mercato professionalità capaci o con l’esperienza specifica, pertanto, o si favoriva una ditta “amica” garantendo piena copertura o peggio si organizzava una ditta che molte volte usava gli stessi dipendenti che l’azienda aveva espulso dallo stabilimento con i prepensionamenti e la cassaintegrazione. Nel primo e nel secondo caso l’azienda alla fine doveva intervenire con un forte impegno delle sue risorse e delle proprie professionalità per recuperare la scarsissima qualità del prodotto ricevuto. Ciò accadeva anche negli appalti di ingegneria. Un altro aspetto di gestione diretta alle convenienze personali che si può riscontrare nei contratti di appalto, si riscontra nelle grandi aziende dove l’organizzazione porta a diversi gradi di responsabilità e che, in presenza di aziende a partecipazione pubblica o di società per azioni, la realizzazione di obiettivi aziendali e finalizzata in maggior parte a scopi politici per garantire alle poltrone più comode, la certezza di una lunga permanenza. In tale scenario è stata determinante la figura del preposto di medio livello che, anche se non ha avuto l’autorità specifica, aveva molte volte la copertura politico-sindacale e quella copertura indiretta del sistema aziendale che si faceva carico dei suoi “sbagli”. Tale preposto avallava con la propria firma le concessioni di valutazioni economiche contrattuali fuori standard o addirittura la concessione di notevole valutazione economica di extra non dovuti; in tal modo il preposto faceva carriera e riceveva in cambio forme di premio tangibili anche se a volte in maniera indiretta.
Truffa: prima di inoltrarci nella problematica relativa alla truffa perpetrata per un tornaconto personale, diremo che la truffa come reato di solito viene intesa come lo sviluppo di attività utili a situazioni per un interesse materiale diretto continuo, con l’instaurazione di tutta una serie di automatismi per cui colui il quale ha potere decisionale dà il suo assenso di azienda per una percentuale o un premio contrattato all’interno di un compenso personale che colpisce l’interesse economico dell’azienda che rappresenta. Vi sono tuttavia delle situazioni molto più sottili che possono dimostrare una truffa diretta con concessioni di compensi in cambio di “collaborazione” che arrecano un danno economico per l’azienda; sono quelle che vedono attori un impiegato nello sviluppo di documenti contrattuali che artatamente esclude dalla fase di lavoro necessario per la realizzazione delle opere oggetto dell’appalto o anche peggio non le prevede “chiaramente” nella specifica tecnica per far sì che rispetto ad altri appalti similari abbia la possibilità di concludere la fase commerciale in maniera apparentemente vantaggiosa, dimostrando così una superiore abilità manageriale: questo è l’aspetto più sommerso... e difficilmente la persona responsabile verrà poi scoperta nelle sue effettive intenzioni e nelle problematiche connesse alla gestione di quell’appalto che nella fase successiva si troverà a carico dello staff tecnico incaricato del controllo dell’appalto che si vedrà costretto a richiedere alle ditte titolari di appalto prestazioni extra con extracosti per l’azienda, caricandosi altresì dell’incapacità di rientrare nei costi previsti. Altri aspetti sottili e sommersi che occultano le compromissorietà e le corruttele amministrative che mai potranno dimostrarsi con prove tangibili sono tutte quelle richieste fatte in maniera evanescente e senza soprattutto operare una trattativa diretta con accordo economico in cambio di “collaborazione” per ottenere beni e regalie se non addirittura impieghi di lavoro per familiari e amici; in questo tipo di attitudine le richieste saranno liberamente ed incondizionatamente acconsentite dalle ditte appaltatrici che in tal modo non avranno forse una collaborazione attiva ma eviteranno un’opposizione dignitosa difficile da scavalcare. In questo contesto si possono inserire (e a Palermo si sono inserite) tutte quelle prestazioni di lavoro tali come ristrutturazione di case private, ville, ecc. con la furbizia da parte degli addetti aziendali allo sviluppo degli appalti da pagare a tutti i costi la prestazione che nella totalità dei casi avrà un valore puramente simbolico; così come per esempio è accaduto che sia stata fatta richiesta di eventuali conoscenze di costruttori per l’acquisto di beni immobili che poi grazie ai buoni uffici mafiosi imprenditoriali si sono rivelati molto disponibili ed hanno concesso facilitazioni di pagamento inverosimili. Volendo scendere in esempi particolari giusto per dare modo di capire alla giungla di possibilità che offre l’argomento ricordo due casi di mia conoscenza:a) un impiegato di un ufficio acquisti che solo per avere proposto ad una concessionaria l’ordine d’acquisto di dieci vetture di media cilindrata per il rinnovo del parco macchine dell’azienda ottenne anziché un cospicuo sconto per la stessa azienda, una vettura come regalo.b) un alto dirigente che, approfittando della dismissione di alcuni immobili di proprietà dell’azienda dopo avere restaurato un immobile secondo le proprie esigenze a spese dell’azienda, lo acquistò per circa un quinto del suo valore presentando magari delle offerte che giustificassero tale “ruberia”.

Il fenomeno di tutti gli aspetti legati alla gestione degli appalti a Palermo era strettamente collegato a “Cosa Nostra” alla quale il direttore dello stabilimento che si insediò nel gennaio del 1989 regalò al suo arrivo a Palermo (nascondendo l’operazione dietro la formale documentazione di vendita) un patrimonio aziendale del valore di circa 1 miliardo 300 milioni... tutto questo con la sola oppositività anche giudiziaria di chi scrive: il sindacato coprì l’operazione con il silenzio. La Fincantieri nazionale in data 9 settembre 1992 fu avvisata a mezzo plico raccomandato con ricevuta di ritorno, contenente l’esposto documentato ed argomentato contro quel direttore che resterà indisturbato ed anzi ossequiato a Palermo fino all’anno 1997. Il contesto che guidò per circa un ventennio la forte deindustrializzazione del cantiere navale di Palermo è stato supportato da “Cosa Nostra” che unitamente ai fattori interni e politici ha determinato l’assenza oppositiva dei lavoratori che non potevano battersi da soli contro un sistema così articolato che avrebbe dovuto vederli lottare contro la criminalità organizzata facendo a meno delle coperture istituzionali e delle garanzie democratiche. La natura umana profondamente complessa portò ognuno ad abituarsi a vivere nella corruzione, a giustificare la debolezza addebitando agli altri le responsabilità; ad accettare inermi il condizionamento del sistema ed in più a trovare giustificazioni di comodo che in molti casi misero a tacere le coscienze di gran parte dei dipendenti del cantiere navale di Palermo.La battaglia politico-culturale contro “Cosa Nostra” è stata sempre svuotata di contenuto da equivoci artatamente pilotati che hanno reinterpretato totalmente la verità... Per capire basta leggere tutte le relazioni delle varie commissioni antimafia, sempre in ritardo sull’evolversi del fenomeno criminale e sui suoi ganci politici ed economici, ed attenzionare la pubblicistica e la letteratura ricorrente che presentano la criminalità organizzata come elemento vessatorio nei confronti dell’economia legale al sud del nostro Paese.Questo è un falso storico accreditato per coprire le strutturali carenze economiche prodotte dal sistema feudale che in “Cosa Nostra” ha avuto sempre l’alleato imprenscindibile per ottenere il controllo ambientale e quel controllo elettorale che ha poi scambiato a Roma ad utilità delle sue strategie... “L’errore” va corretto e l’opinione va contrastata per la sua infondatezza e per la sua intrinseca immoralità... Ciò è stato funzionale alla ricostruzione di nuovi equilibri, tutte quelle volte che l’attività giudiziaria ha potuto illuminare pezzi di questo subdolo scenario socio-economico, per limitare e circoscrivere i danni passando dal ruolo di complici per interesse strategico a quello di vittime del Racket mafioso.A sostegno di questa tesi, frutto della mia esperienza esistenziale, riporto alcuni brani delle risposte fornite dal Capitano dei Carabinieri De Donno (ROS), al Comitato appalti e subappalti, il 10 febbraio 1993, desegretato dalla II^ Commissione il 20 gennaio 1998:
Abbiamo accertato esistere in Sicilia, una sorta di Comitato di gestione degli appalti pubblici, cioè una sorta di direttivo formato da imprenditori, i più importanti imprenditori siciliani e qualche imprenditore di valenza nazionale, che decidono a priori, al di là di tutte le scelte della Pubblica Amministrazione, l’aggiudicazione degli appalti pubblici alle imprese. Questa attività decisionale, però, trova la sua ragione d’essere, cioè trova suo fondamento nelle attività di “Cosa Nostra”, nel senso che “Cosa Nostra” è quella che garantisce il funzionamento del Comitato.L’organizzazione deciderà chi dovrà effettuare i subappalti, chi dovrà effettuare forniture di materiali, e al limite anche gli operai che dovranno essere assunti in quel cantiere, quindi comunque “Cosa Nostra” entrerà nel contesto economico del lavoro stesso.Il Comitato che corrisponde grossomodo, a quello che esiste in altre parti del territorio nazionale, cioè una sorta di ente che divide l’assegnazione di appalti dalle imprese che sono ammesse a questa divisione, con la differenza che questo Comitato, però, ha alle sue spalle la legittimazione di “Cosa Nostra”, cioè tutti sanno a priori che le scelte vanno comunque rispettate al di là di un problema di correttezza e di funzionalità dello stesso sistema, perché “Cosa Nostra” ne garantisce il rispetto, perché chiaramente “Cosa Nostra” ha interesse a che il sistema funzioni perfettamente perché ne ricava un utile economico; quindi, ove ci fosse la defezione o il comportamento anomalo di un certo imprenditore automaticamente il danno si ripercuoterebbe su tutto il sistema, chiaramente anche su “Cosa Nostra”, quindi c’è l’interesse a intervenire, a fare in modo che questo sistema funzioni perfettamente.Non abbiamo mai accertato nella nostra attività che un certo tipo di appalto, un certo tipo di finanziamento, un certo tipo di attività presso gli organi politici siano stati gestiti direttamente da esponenti mafiosi.
Per le opere che vengono finanziate da enti nazionali o da organismi nazionali, chiaramente c’è un discorso un po’ diverso, nel senso che, se un’opera è finanziata dal, non lo so, Ministero dei lavori pubblici, viene finanziata per un certo posto e comunque poi rientra nella governabilità del Comitato.Noi abbiamo individuato degli studi tecnici, addirittura di professionisti, che fanno capo a determinate imprese, e questo è facilmente rilevabile, basta vedere ad esempio l’elenco dei lavori fatti da un certo ente per verificare che questo più o meno corrisponde sempre allo stesso professionista. Ci sono dunque delle costanti: un certo assessorato ha una prevalenza di assegnazione di progettazione, di direzione lavori a un certo ingegnere; un Comune le dà a due ingegneri in particolare cioè alla fine, da un controllo analitico, i nomi sono più o meno gli stessi e a certe imprese fanno riferimento sempre gli stessi ingegneri. Per le imprese nazionali bisogna avere il referente siciliano. Su questo non ci sono dubbi, perché altrimenti l’impresa nazionale da sola, non ha la possibilità di entrare nel sistema degli appalti in Sicilia.Nel Comitato comunque il potere decisionale spetta alle imprese siciliane. La presenza delle imprese nazionali, soprattutto nelle più importanti, serve per due motivi fondamentali: 1) perché, molto spesso, l’impresa nazionale viene usata dall’impresa siciliana quale supporto per particolari gare d’appalto, nel senso che molto spesso le imprese siciliane non hanno le iscrizioni all’albo nazionale dei costruttori adeguate alla partecipazione ed alcuni tipi di appalto, per cui le iscrizioni dell’impresa nazionale, unita in associazione temporanea, permettono la partecipazione all’aggiudicazione; 2) perché l’impresa nazionale che intende seguire lavoro in Sicilia deve avere la preventiva autorizzazione, cioè deve entrare nel Comitato. Entrare nel Comitato significa accettarne le regole, ovvero accettare la capacità decisionale dei siciliani e adeguarsi alle sue regole, quindi rispettarne le scelte. Il Comitato ha un rapporto strettissimo con “Cosa Nostra”. “Cosa Nostra” ha forse la funzione più importante, quella di garante del Comitato stesso. Il Comitato non parla per conto di “Cosa Nostra”, non bisogna cioè intendere che “Cosa Nostra” dice al Comitato come gestire la cosa, però il Comitato decide sapendo che la sua decisione è già stata avallata all’origine da “Cosa Nostra”. Il sistema deve funzionare perché ci sono più parti in gioco. Intanto ci sono gli interessi di “Cosa Nostra”, perché su ogni appalto “Cosa Nostra” ne riceve un utile economico. C’è un versante politico, perché c’è tutta una parte economica che va all’organizzazione politica. C’è una parte di denaro che va ai professionisti e a tutta una serie di persone intermediarie.E c’è poi la parte delle imprese, per cui il meccanismo è molto complesso e non deve assolutissimamente interrompersi. “Cosa Nostra”, d’altra parte, garantisce che nessuno parli. Il fatto stesso che il Comitato viene così spalleggiato da “Cosa Nostra” evita esempi di collaborazione. Noi in Sicilia abbiamo pochissimi esempi di collaborazione di imprenditori, quasi nessuno tranne qualche eccezione. Non ci sono imprese che collaborano, né siciliane né nazionali. Noi abbiamo interrogato alcune imprese implicate nella questione di Milano che sui fatti siciliani assolutissimamente non parlano. Credo sia la dimostrazione migliore dell’efficienza del sistema..Dunque la tragica esemplarità delle esecuzioni mafiose contro gli operatori economici è l’affermazione della natura endogena, “del prestigio” nel quale risiede l’autorità riconosciuta “agli uomini d’onore” dalla filosofia vessatoria imposta nel territorio agli operatori economici grandi e piccoli che non hanno voluto riconoscere questa autorità. Per esempio contro quelli che non hanno rispettato le regole con gli altri imprenditori e contro quelli che non hanno voluto prestare la loro immagine a “Cosa Nostra” che, dopo l’applicazione della pur debole Legge Rognoni-La Torre ha avuto la necessità di riciclare attraverso le attività legali le sue enormi risorse economiche. A Palermo nel solo triennio 1986-1988 sono stati uccisi ben 12 imprenditori. Le dimensioni di questo circuito possono leggersi agevolmente fra le righe del dato socio-economico che insieme alla mediazione parassitaria ed assistenzialistica controllata dal potere socio-politico hanno determinato l’attuale fragilità culturale e democratica della Comunità Siciliana. Da Portella delle Ginestre ai nostri giorni lo scenario e le strategie sono state sempre le stesse... “sono cambiati” solo i protagonisti... “Cosa Nostra” molte volte li ha cambiati con gli omicidi...Questo sistema socio-politico con lungimiranza, ventennale, ha imposto anche segretari nazionali nel Sindacato e ha condizionato pesantemente la selezione della classe politica.
Il fenomeno va scrutato con più attenzione per capire quale ruolo ha avuto anche nella feroce deindustrializzazione della Sicilia ove la totale compromissorietà sociale-politico e istituzionale ha consentito a questo sistema d’uccidere la speranza fin dentro le coscienze dei lavoratori, inducendo, anzi costringendo molti di loro a sopravvivere dentro quelle logiche assistenzialistico-parassitarie che hanno fatto il deserto oppositivo contro la criminalità organizzata e contro quel contesto che la usa e le dà “dignità culturale”... ciò non sarebbe accaduto se pezzi importanti del sindacato non avessero barattato per meschini interessi personali l’esistenza stessa dei pochi presidi produttivi della Sicilia: il cantiere navale, il porto e la costa Palermitana unitamente alla mia storia di cittadino, di lavoratore e di sindacalista gravitano all’interno di questo fenomeno endogeno.Così come c’insegna tangentopoli, “Cosa Nostra” non ha l’esclusiva del condizionamento e dell’inquinamento dei pubblici poteri.....Consorterie, associazioni d’affari, gruppi di potere hanno agito nell’intero Paese e quando s’è voluto prendere coscienza del fenomeno, uno squarcio di verità è venuto fuori... Ciò non è ancora accaduto in Sicilia e nella parte bassa del Paese ove imprenditori, corrotti e corruttori sanno perfettamente che l’incomodo “Cosa Nostra” per la sua capacità operativa e per il suo radicamento socio-ambientale, garantisce senza limiti di tempo con le sue vendette infernali, il silenzio. Tangentopoli era e forse lo è ancora: una relazione semplice e razionale fra il sistema delle imprese ed il sistema dei Partiti... Ma anche all’interno di questa odiosa orgia fra corrotti e corruttori, c’era una sua dignità... Quel sistema che affondava rapacemente le sue mani sulle risorse del Paese, ha in ogni caso costruito quelle infrastrutture e quelle tecnologie che hanno dato dinamicità e futuro al mondo del lavoro in tutti i suoi comparti... Ciò ha consentito a questa parte del Paese d’affrontare con buone prospettive la sfida europea, anche se segnali sconfortanti ci indicano la presenza d’un pericolo latente che si può concretizzare sulla scia dell’imperante liberismo che rischia sempre più d’agevolare il radicamento della criminalità organizzata in settori produttivi ove fra le formali pieghe del lavoro in affido, delle prestazioni di manodopera e dei subappalti e delle forniture, può stimolare la cinica corsa al maggior profitto di imprenditori poco scrupolosi che in virtù dei servizi offerti dalla criminalità organizzata otterrebbero notevoli abbassamenti dei costi produttivi (operando sui diritti dei lavoratori e sui costi accessori; per esempio il trasporto e l’occultamento dei rifiuti tossici e speciali). Intimidendo le imprese concorrenti che per paura e per necessità s’adeguerebbero a quella infernale filosofia che conseguentemente fa della parte sana delle comunità, prima vittime e poi carnefici gli stessi attori... adesso è utile osservare altri fenomeni criminali e la loro subalterna disponibilità alle corruttele politiche, economiche e sociali, che hanno determinato i profondi malesseri del Sud.“La Camorra”: filosoficamente è strutturata come “Cosa Nostra”... La differenza fra questi due fenomeni criminali è sostanziale. “Cosa Nostra” ha un suo governo: una sua commissione e un capo indiscusso che ne decide le strategie. “La Camorra” invece, identifica gruppi criminali che all’interno della stessa filosofia agiscono per bande molte volte in conflitto fra loro. Fino alla vigilia del terremoto del 23 novembre 1980 che provocò danni ingentissimi in Campania e Basilicata, questo fenomeno criminale non era molto visibile nel mondo del lavoro anche se tracce della sua operatività si riscontrano nel settore del caporalato edile, agricolo e nelle deindustrializzazioni (Seben, Italsider, ecc.). Nei cantieri navali di Napoli (SEBEN) già nell’anno 1973 è presente Amedeo Pecoraro, mafioso palermitano del Borgo Vecchio che operava nelle prestazioni di manodopera anche specializzata (fiammisti, carpentieri, pontisti, meccanici, marinai, ecc.). Questo mafioso non aveva problemi in ogni ordine e grado e usava prevalentemente manodopera palermitana... la Camorra in quel tempo era sudditante a “Cosa Nostra” e il mafioso Amedeo Pecoraro accettava di far lavorare nella sua ditta solo quei napoletani raccomandati dalla stessa. La paga dei palermitani variava dalle 1.800 alle 2.000 lire l’ora: quella dei napoletani variava dalle 1.200 alle 1.500 lire l’ora... E’ ovvio che il tutto era in nero.I ganci amministrativi del boss erano notevolissimi... dai guardiani all’alta dirigenza... le ore di lavoro dei suoi dipendenti non erano mai frutto delle esigenze produttive della SEBEN, bensì dalla capacità o voglia di resistenza dei suoi dipendenti all’interno del cantiere navale. Quando il numero dei dipendenti prestati alla SEBEN era di numero considerevole scattavano anche i cartellini fantasma che attestavano prestazioni di manodopera mai eseguite. I suoi rapporti con il sindacato erano ottimi.Il salto di qualità questa sigla criminale, lo fa in occasione del terremoto, diventando referente e garante ambientale di politici e grandi imprese d’interesse nazionale; producendo effetti devastanti nel sistema delle relazioni politiche, sociali ed economiche.All’interno d’una sorta di maligno laboratorio socio-politico dentro il mezzogiorno, scaturito dall’intervento dello Stato, (il più copioso per calamità naturali, nella storia del Paese, più di 50.000 miliardi), “la Camorra” fa un poderoso salto di qualità nel mondo del lavoro. La relazione approvata dalla Commissione Antimafia, il 21 dicembre 1993, ne fornisce il drammatico quadro:Nel decennio 1981-1990 in Campania si commettono 2.621 omicidi, pari al 21,06% degli omicidi commessi sull’intero territorio nazionale.[...] Oggi le organizzazioni camorristiche con circa 111 clan ed oltre 6700 affiliati, rappresentano in una regione che ha 549 Comuni e 5.731.426 abitanti, una vera e propria confederazione per il governo criminale del territorio con decisive capacità di condizionamento dell’economia, delle istituzioni, della politica, della vita quotidiana, dei cittadini.[...] Il più alto numero di magistrati indagati penalmente è in Campania.[...] Il maggiore numero di parlamentari per i quali è stata chiesta l’autorizzazione a procedere per collusioni mafiose è eletto in Campania.[...] Il più alto numero di Comuni sciolti per mafia è in Campania.È utile ricordare che solo poche persone denunciarono questi fatti nel decennio interessato e che la magistratura illuminò lo scenario solo dopo che i danni furono compiuti. Ancora una volta il sistema in oggetto proteggendosi dietro gli atti formali e l’assoluta omertà ambientale, svuotò di contenuto le già deboli leggi antimafia, consentendo alle organizzazioni criminali di mutuare la loro assistenza alle imprese d’interesse nazionale ed ai politici, in cambio dei subappalti, dei noli e delle forniture, specializzando così la presenza camorrista nel mondo del lavoro in modo formalmente legale, senza che alcun attore criminale o imprenditoriale disattendesse alcuna norma, sia penale che amministrativa... Il certificato antimafia della ditta subappaltante veniva camuffato da prestanomi legati ai camorristi... Per i noli e le forniture non c’era alcun obbligo di certificazione... Tutto ciò, unitamente all’inadeguatezza ed alla compromissorietà socio-ambientale, anziché ostacolare l’ingresso della Camorra nei lavori pubblici, la favorì...[...]Antonio Gava, allora ministro degli Interni, nel corso dell’audizione del 13 dicembre 1988 presso la prima Commissione della Camera dei Deputati, ribadì la necessità che gli enti locali “respingessero e denunciassero ogni tentativo d’inquinamento camorristico e che il principio di autoamministrazione... non rischiasse di esser condizionato dalla criminalità organizzata... e diventasse invece un rigoroso strumento per lo sviluppo e la ripresa del mezzogiorno... nella normalità della vita democratica, rifuggendo da soluzioni di natura straordinaria ed eccezionali.”Oggi sappiamo chi era quel ministro degli Interni e quale sviluppo auspicava per il mezzogiorno.Nella relazione approvata dalla Commissione Antimafia il 6 marzo 1991, in riferimento alla Provincia di Caserta (che poi fotografava la realtà socio-economica della Campania più in generale, si legge: Esponenti dell’unione industriale e dell’Ance hanno descritto condizioni di lavoro immuni da pressioni camorriste: nessuna denuncia di estorsioni da parte delle aziende associate, solo semplici voci che però non possono determinare un’iniziativa dell’associazione. Il fatto stesso che presso l’Ance sono iscritte solo 100 imprese edili sulle 1000 operanti nella zona non viene considerato un elemento tale da indurre a riflessioni sulle modalità di sviluppo dell’attività edile nella provincia.Diversa valutazione della presenza camorrista nei cantieri è stata data dalle locali rappresentanze sindacali: non pochi delegati sono stati invitati a sospendere la loro attività nei cantieri; gli stessi segretari provinciali hanno difficoltà ad esercitare i loro diritti di rappresentanza.
Non risulta alcun settore nel mondo del lavoro in cui “La Camorra” è stata assente. Essa, così come “Cosa Nostra”, ha condizionato pesantemente le stesse articolazioni della democrazia, diffondendo fra i lavoratori una pericolosa demotivazione, quasi un’assuefazione, nei confronti d’un fenomeno criminale che senza il supporto socio-politico e “l’inadeguatezza” istituzionale resterebbe solo un branco di delinquenti facilmente isolabili.“La Camorra” in quest’ultimo ventennio ha consolidato il suo inserimento in molti settori del mondo del lavoro, da quello produttivo al settore turistico, dai servizi all’agricoltura, ove ha anche operato grandi truffe contro la Comunità Europea e garantito il lavoro nero ed ogni azione vessatoria contro i lavoratori...“Il suo tranquillo” ondivagare fra attività lecite ed illecite e la grande disponibilità di denaro da riciclare, le hanno consentito di conquistarsi consistenti consensi sociali in Campania ove è in grado di sostituirsi alle regole economiche e democratiche della Regione.In contrasto a ciò, oggi esistono in Campania le condizioni per costruire nuove esperienze imprenditoriali ed una nuova cultura del lavoro e dell’impresa.Nella regione esistono già nuove condizioni che potrebbero trasformare quel che è stato un territorio di frontiera, in una periferia strategica del mercato: nel Casertano si registra un’iniziativa del Ministero dell’Interno che in stretta collaborazione con Confindustria sta sperimentando, nell’area a maggior densità industriale del Casertano, nuovi sistemi di sicurezza per garantire all’impresa, le condizioni di serena operatività.Altra strategia importante è quella decisa dalla regione Campana, che vuole scommettere sull’infrastruttura logistica e trasportistica del Casertano, come strumento di sviluppo integrato nell’esteso mercato meridionale e nella creazione di un nuovo asse di sviluppo arretrato rispetto alla costa.In aree importanti della regione cominciano a notarsi le presenze di nuovi gruppi industriali. Da un’indagine dell’Unione Industriale “dallo sviluppo esogeno allo sviluppo locale” pubblicato nel marzo 1997 emergono le buone potenzialità del Casertano: un polo chimico da 600 miliardi che gravita su giganti come 3M, UKAR e MANULI; un polo delle telecomunicazioni che aggrega gruppi come, ALCATEL, FORMENTI, ITALMERLONISUD, SIT-SIMENS, TEXAS INSTRUMENTS; un polo alimentare forte della presenza di Barilla e Cirio e un polo metallifero che nella sola laminazione sottile, fattura oltre 400 miliardi. L’area del Casertano registra anche una endogena e vivacissima crescita caratterizzata purtroppo da una forte frammentazione imprenditoriale e da una cronica sottocapitalizzazione delle aziende (anche imprese che fatturano più di un miliardo hanno un capitale di 20 milioni che le rende fragili e più esposte alla Camorra) e dalla scarsissima propensione alla esportazione.Questa debolezza socio-economica è però trainata da realtà di ottime qualità: il consorzio TARI e il consorzio CALZATURIFICIO UNICA.
Il consorzio TARI, quarto centro orafo in Italia, accorpa circa 250 aziende industriali, artigiane e distributive che complessivamente fatturano più di 1500 miliardi. Il consorzio UNICA, formato da un tessuto d’impresa calzaturiero, che non riscontrano reali rappresentazioni nei dati ufficiali, perché alta è la quota di lavoro nero e altissima quello del reddito sommerso.Per combattere queste anomalie strutturali, le 24 società consorziate, attraverso la stipula di un contratto di programma, cercheranno di attirare maggiormente l’attenzione di aziende italiane ed estere con l’intento di realizzare un grande centro di ricerca applicata per lo sviluppo di nuove tecnologie che attraverso un investimento di circa 90 miliardi, dovrebbe generare entro il 2000 nuova occupazione per 630 addetti. Altre utili scommesse in ordine legislativo e amministrativo sono previste nella regione: dalla rivoluzione strutturale e strategica del Porto di Napoli che dovrebbe contare su investimenti di circa 240 miliardi; alla riattivazione (attraverso i contratti d’area) delle aree industrializzate del dopo terremoto della Campania... che però necessitano d’un particolare attenzionamento da parte delle organizzazioni sindacali, imprenditoriali e istituzionali, perché se da un lato i contratti d’area dovrebbero agevolare la strutturazione produttiva e occupazionale è altresì vero che questa filosofia può produrre pesanti svantaggi nelle aree non interessate, col risultato di spostare il problema anziché risolverlo e “la Camorra” non starà certo a guardare. Essa ancor oggi mostra notevole vitalità ed ha a sua disposizione ganci in ogni ordine e grado oltre che grosse disponibilità economiche da riciclare laddove l’impresa diventa debole o spinge la sua rapacità oltre le regole.Segnali forti indicano la presenza camorrista nelle aree che stanno ottenendo interventi pubblici per agevolare le condizioni dello sviluppo e nelle province colpite dalle calamità naturali. A Sarno erano stati allontanate alcune imprese camorriste, le stesse imprese qualche giorno dopo continuarono a lavorare nell’AGRO NOCERINO-SARNESE anche in presenza del fatto che furono allontanati dal prefetto. Appare inverosimile che anche in presenza di queste denunce e di queste disposizioni istituzionali, abbiano continuato a lavorare per la Società Autostrade e per le Ferrovie dello Stato. È solo Camorra?..... Questo è il nodo fondamentale da sciogliere.....Lavorare per il graduale recupero socio-economico di questa importante regione del paese è ancora possibile anche in presenza della crisi del sistema, delle regole, e della protezione sociale. Tutto dovrebbe basarsi su un modello di sviluppo che metta al centro, oltre all’obbiettivo prioritario della definizione economica programmatica per la redistribuzione delle risorse e le competenze, la tutela delle aree più deboli e la garanzia della sicurezza e delle regole.Altro fenomeno criminale è la “’ndrangheta” calabrese...Anch’essa come la Camorra agisce per clan, se pure più coordinati della Camorra e più rispettosi della ferrea solidarietà che li accomuna nel “rispetto della giustizia distributiva”... questa associazione criminale fa il salto di qualità in occasione dei grandi interventi economici operati in Calabria, e specificatamente, nella piana di Gioia-Tauro, negli anni ’70... ancora una volta è la filosofia meridionalista della classe politica nazionale e locale a determinare il salto di qualità di questa organizzazione criminale, che sulla scia di scelte affaristiche e progettualmente improduttive realizza la sua crescita a fenomeno nazionale. L’omertà socio-politica e ambientale è stata anche in questo caso pressoché totale; solo grazie all’attività dell’allora giudice-istruttore Agostino Cordova, lo scenario fu parzialmente illuminato nell’ordinanza di rinvio a giudizio depositata il 16 luglio 1978, ma ciò non valse a determinare un diverso impegno socio-economico e istituzionale per arginare un fenomeno endogeno ancora debole sotto l’aspetto logistico. La “’ndrangheta” poté prepararsi economicamente ad entrare nel business degli appalti pubblici della Calabria e nella piana di Gioia-Tauro più in particolare, grazie ai proventi del sequestro di Paul Getty, che nell’anno 1973 fruttò alle cosche un miliardo di lire... un buon capitale, in quel tempo, da investire nell’acquisto di ruspe, autocarri, automezzi ecc... per monopolizzare il movimento terra ed il trasporto nei lavori di costruzione del porto e del quinto centro siderurgico.Anche la “’ndrangheta” come vedremo, senza la compromissorietà politico-istituzionale ed economica, restava solo un fenomeno endogeno estirpabile, con le armi dello sviluppo e della partecipazione dei lavoratori e dei cittadini calabresi. Come da copione politico, sarà la commissione parlamentare antimafia a piangere sul latte versato ed a celebrare sempre con ritardo la sconfitta della legalità e della democrazia nelle sue relazioni. Nella relazione approvata il 16 marzo 1989 sullo stato della lotta alla mafia della provincia di Reggio-Calabria fra l’altro si legge: Il quadro che è emerso da questa visita è di una gravità eccezionale. Negli anni 1987-88 sono avvenuti, in provincia di Reggio-Calabria, 314 omicidi. Ma questo dato, pur gravissimo, non è tutto. Adesso bisogna aggiungere, in primo luogo, quelli sui sequestri di persona e sull’uso della zona dell’Aspromonte per mantenere prigionieri i sequestrati. La lentezza e per certi aspetti la paralisi della giustizia, avalla sempre più l’idea della necessità di una “giustizia alternativa”. L’inefficienza della Pubblica Amministrazione e dei servizi sembra insuperabile. L’80% delle attività economiche della provincia può ritenersi sottomessa al dominio e allo sfruttamento della delinquenza organizzata. Non riescono ad aprirsi spazi per attività economiche ed imprenditoriali sane. Il mercato del lavoro è sempre più inquinato. Appaiono sempre più intricati i rapporti tra delinquenza organizzata, amministrazioni pubbliche, potere politico. Non si riesce a venire a capo di vicende allucinanti, come, ad esempio, quelle dei comuni di Gioia-Tauro, TAURIANOVA, CITTANOVA. La delinquenza organizzata agisce, anche attraverso il gioco dei voti di preferenza, nelle scelte elettorali e politiche. I confini tra attività tradizionali della vita politica calabrese e meridionale (clientelismo, forme di elettoralismo, ecc.) e rapporti di vario tipo, o collusioni con gruppi di delinquenza organizzata sono sempre più labili. Non c’è da meravigliarsi se nella suddetta provincia, gli stati d’animo prevalenti dell’opinione pubblica, siano di assuefazione o di rassegnazione e di quasi totale sfiducia nello STATO DEMOCRATICO.Nella relazione della commissione parlamentare antimafia, approvata nella seduta del 24 ottobre 1990, cioè ben 19 mesi dopo l’ultima visita-inchiesta su Reggio-Calabria, fra l’altro si legge: In data 8 febbraio 1990, la Procura fece pervenire al giudice delle indagini preliminari, una richiesta di sequestro preventivo dei cantieri in opera della costruzione della Centrale elettrica di Gioia-Tauro. Tale richiesta fu reiterata il 9 aprile 1990 e accolta il 18 luglio 1990. Con riferimento al reato di cui all’art. 416 bis del codice penale, nell’ordinanza del G.I.P. venne sottolineato che “da un attento esame della documentazione depositata dal P.M., risulta che le ditte aggiudicatarie o consociate, fanno capo a cosche mafiose locali. Si rilevavano, inoltre, “molteplici e gravi irregolarità seguite alla giudicazione degli appalti”: in particolare, l’inosservanza dell’obbligo di comunicare previamente se e con quali ditte le imprese partecipanti intendessero associarsi, di modo che l’autorizzazione a consociazioni fosse rilasciata dall’ENEL solo a posteriori. Secondo il giudice, i tre appalti in cui furono ripartiti i lavori vennero gestiti - “direttamente o indirettamente - dal gruppo IETTO (mediante la consociata IREF)”: in altre parole l’ENEL affidava gli appalti alle imprese concorrenti, tutte controllate dalla IETTO S.p.A. (la quale a sua volta controllava l’IREF) e ciò consentiva alla COGECA S.p.A. di prendere in subappalto tutti i lavori. Veniva anche rilevato che il titolare di quest’ultima società risulta affiliato al clan dei Piromalli di Gioia-Tauro e che nelle ditte subappaltanti vi è la presenza di noti pregiudicati, affiliati ai clan mafiosi.I fatti descritti appaiono indicativi nel modo in cui settori dell’impresa pubblica e delle partecipazioni statali conducono la loro azione nelle regioni in cui è più intenso l’inserimento delle organizzazioni criminali nella gestione pubblica... Non si tratta solo dell’ENEL con specifico riferimento alla Centrale di Gioia-Tauro: il Prefetto Sica ha segnalato, ad esempio, l’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose anche nella costruzione dell’autostrada ROMA-NAPOLI i cui lavori sono appaltati dalla “Società Autostrade” del gruppo IRI.La situazione socio-economica e politica continuerà ad aggravarsi... anche in presenza dei fatti già celebrati e denunciati dalla storia ufficiale. Nella relazione approvata dalla commissione antimafia il 30 maggio 1991 si legge: I barbari episodi di TAURIANOVA appaiono come il simbolo di una situazione ormai insostenibile. È la legalità democratica e costituzionale che non esiste più in una parte grande della Calabria.
Forte è la preoccupazione per la vicenda inerente l’aggiudicazione dell’appalto per la realizzazione della base NATO su territorio del comune di Isola Capo Rizzuto.Il 7 giugno 1990 il Ministero della difesa, affidava l’esecuzione dei lavori di costruzione delle infrastrutture Aereo-portuali per l’importo di 109ml di lire, dedotto il ribasso del 35,35%, all’associazione temporanea d’impresa Fondedile S.p.A. e Costruzioni Ing. PENSI S.p.A.Il 27 agosto 1990 si costituiva in Crotone un consorzio di imprese denominato “Consorzio Lavori Generali” con sede di Capo Rizzuto. Al predetto Consorzio aderivano 16 imprese di cui 4 soltanto iscritte nell’ALBO NAZIONALE dei COSTRUTTORI, mentre le altre erano registrate presso la Camera di Commercio di Catanzaro. Da una nota del Procuratore della Repubblica si evince che, secondo le risultanze delle indagini svolte dal dirigente del Commissariato di Crotone, “buona parte delle predette ditte avrebbe partecipato alla costituzione del consorzio, benché prive di mezzi necessari e della professionalità per eseguire detti lavori, soltanto al fine di consentire la spartizione, nella cerchia familiare del sodalizio di comodo, dei subappalti che sarebbero stati concessi dall’impresa appaltatrice.”La nota precisa, inoltre, che diversi titolari delle predette ditte, risultavano legati da rapporti di parentela, di affinità e di natura diversa, con la cosca dominante in Isola Capo Rizzuto, facente capo alla famiglia Arena.Una Pubblica Amministrazione (cioè il Ministero della Difesa) è accusata di aver violato la legislazione antimafia, consentendo a pericolosi circoli criminali non soltanto di inserirsi in modo consistente nell’economia locale, utilizzando denaro dello STATO, ma anche di esprimere nei confronti dei cittadini e di altre amministrazioni, un senso di potenza reso più minaccioso dalle probabili collusioni che sottendevano ad un rapporto di fiducia con lo STATO.Tale vicenda assume ancor maggiore gravità alla luce di quanto denunciato dal Presidente della ASSINDUSTRIA di Crotone con lettera aperta al Presidente della Repubblica del 22 maggio 1990. Il Ministero degli Interni ha riferito al Senato il 14 maggio 1990, che controlli disposti dall’alto Commissario per la lotta alla mafia avevano accertato, nella realizzazione della diga sul fiume Metrano, la concessione di ben 173 subappalti non autorizzati ed innumerevoli violazioni alla normativa a tutela dei lavoratori e in materia contributiva e retributiva; illeciti consumati nel corso di lavori che si trascinano da 20 anni, il cui costo è lievitato da 39 a 389ml, ed in cui vi è il sospetto, anche, di licenziamenti effettuati per ottenere finanziamenti integrativi. Il Sindaco di Catanzaro ha riferito di un vicenda che riguarda la SIP e che conferma come le aziende Pubbliche a Partecipazione Statale agiscano spesso, in Calabria, ma anche in altre parte del mezzogiorno, al di fuori delle leggi, in materie d’appalti e di opere pubbliche.Le condizioni economiche e sociali della Provincia di Catanzaro sono caratterizzate da una crescente gravità del fenomeno della disoccupazione, soprattutto giovanile. Gli unici settori operanti sono quelli dell’edilizia e del commercio. In sensibile calo è il comparto turistico. Preoccupano fortemente le linee programmatiche contenute nel “business plain aziendale 91/94” della Enichem, ove si prevede una chiusura di alcune catene produttive negli stabilimenti di Crotone (fertilizzanti e fosforo) e che determinano ulteriore malessere nell’unica area della Provincia interessata da insediamenti di tipo industriale. Il Sindaco di Catanzaro ha precisato che queste condizioni di evidente precarietà, unitamente alla presenza della delinquenza organizzata che ovunque offre prospettive di lavoro, creano una situazione di tale squilibrio economico che il giovane munito di titolo di studio è costretto ad emigrare in altre zone d’Italia e d’Europa, mentre la fascia sociale più debole riesce ad impiegarsi nel terziario e nelle altre poche opportunità di lavoro che le vengono offerte, ovvero inesorabilmente viene coinvolto nelle schiere dei vari nuclei criminali.Come gli altri due fenomeni criminali attenzionati (“Cosa Nostra” e “Camorra”) anche questo fenomeno di natura endogena è stato usato dal potere politico e imprenditoriale per svolgere attività di controllo del territorio e del consenso ambientale, finalizzati a quegli interessi di casta che hanno scavato un fossato incolmabile fra i cittadini e le istituzioni democratiche.Già dalla metà degli anni ‘90, nella inutile cattedrale (Porto) eretta sull’altare d’un improbabile sviluppo della siderurgia è cominciata una scommessa imprenditoriale sana e innovativa.In quello che fu il Porto degli affari, fra “’ndrangheta”, politica e imprenditoria, ha oggi sede la Medcenter Container Terminal che conta 630 persone occupare (a fine anno saranno 800) alle quali si aggiungono oltre 500 attività all’interno del Porto e altrettante nell’indotto extraportuale. Purtroppo ancora oggi, anche in presenza dell’alto interesse annunciato dagli industriali di tutto il Paese, non è concretamente cominciato quell’imprenscindibile insediamento industriale attorno al Porto di Gioia Tauro che, potrebbe finalmente rilanciare l’occupazione e costruire le condizioni per chiedere alle Autorità Comunitarie la costituzione d’una zona franca attorno al Porto ed alla strategica iniziativa imprenditoriale della Medcenter, ove l’attenzione istituzionale e sociale dovrebbe essere d’alto livello; in ogni ruolo e funzione della vita democratica.La natura endogena delle tre associazioni fin qui osservate nella loro intrinseca capacità socio-culturale ed economica è “l’incapacità” politico istituzionale che ha elevato questi fenomeni criminali a soluzione parallela, alla quale hanno dovuto sottostare i ceti più deboli di quelle regioni, già nella metà degli anni ’60 oggettivamente cominciò a diventare un modello culturale della delinquenza nel paese, ove in alcune aree questi tre fenomeni criminali trovarono ganci e fertile terreno operativo: l’esempio della Puglia è un modello classico che potrebbe instaurarsi in altre aree del paese. In Puglia già negli anni ’70 sulla scia del contrabbando dei tabacchi e del traffico di stupefacenti, si consolidarono gruppi criminali associati in famiglie che negli anni ’80 dilatarono le loro sfere d’influenza e di operatività anche nei sequestri di persona per scopi estorsivi che effettuarono in collaborazione con la “’ndrangheta” calabrese e la “Camorra”. In quegli anni cominciò anche a delinearsi nella malavita pugliese la necessità di costituirsi in organizzazioni locali per fare fronte alla criminalità organizzata calabrese e campana che volevano mantenere in stato di subordinazione la malavita locale: tra queste le più significative sono, “La Rosa” a Bari e “La famiglia Salentina libera” nel Salento. A carattere regionale si formò la “Sacra Corona Unita” che nella seconda metà degli anni ’80 si imporrà dopo duri scontri fino a farla scomparire su “La famiglia Salentina libera”. Dalle ceneri di quest’ultima nacque la “nuova famiglia Salentina” che con la “Sacra Corona Unita” raggiunse un accordo di non belligeranza e di spartizione delle sfere d’influenza. Concretizzando così quel modello criminale esistente già in Calabria, in Sicilia ed in Campania. Gli allarmi del possibile, rapido sviluppo, della malavita pugliese erano già stati segnalati con vigore negli anni ’80 dalla commissione antimafia presieduta dall’onorevole Alinovi... ma come potremo constatare leggendo alcuni passaggi delle successive relazioni della commissione antimafia degli anni ’89 e ’91 il fenomeno si è strutturato pericolosamente anche nell’economia legale, conquistando consensi ed ergendosi a riferimento economico-culturale di gran parte della regione. Nella relazione approvata dalla commissione antimafia nella seduta del 25 luglio 1989 si legge: A Bari e provincia negli ultimi anni si è registrato un considerevole incremento organizzativo delle cosche criminali, però con identità autonoma. Le forze di polizia sostengono che le organizzazioni delinquenziali sono suscettibili di trasformarsi, assumendo connotazioni vicino a quelle mafiose o camorriste. Estese ed in aumento sono le truffe nel campo agro-alimentare, in danno dell’AIMA e della CEE con riferimento specifico al grano, all’olio d’oliva, al latte. Nella produzione agricola si registrano numerosi frodi a danno della CEE attuate da alcune strutture cooperativistiche o a base associative, costituite al solo scopo di consumare, con sistematicità, consistenti truffe all’AIMA. Nel corso delle indagini su tale organizzazione è stata rilevata la presenza di stabili collegamenti tra personaggi locali, legati al settore della trasformazione dei prodotti agricoli, e famiglie del napoletano, operanti nell’ambito della “Camorra”. Ciò, oltre a causare una grave crisi nel settore agricolo, contribuisce a sviluppare in intere zone la presenza di soggetti e società impegnate nella produzione di false fatturazioni e in finanziamenti a piccoli produttori. A riguardo è carente l’attività di controllo dei componenti organi dello STATO e degli enti territoriali. È esteso il fenomeno del cosiddetto “caporalato” cioè il reclutamento e collocamento abusivo della manodopera in agricoltura. Per quanto concerne la criminalità degli affari, non si hanno, allo stato, valide indicazioni di infiltrazioni di organizzazioni delinquenziali nelle attività imprenditoriali e negli appalti pubblici. Deve, invece, rilevarsi che il sistema dei subappalti praticato su larga scala, introduce un meccanismo di profonda turbativa economico-sociale. I lavori vengono affidati a grandi imprese che cedono in subappalto categorie di opere ad imprese più piccole e queste ultime, a loro volta cedono ulteriormente in subappalto ad altre ancora (i cosiddetti subappalti a cascata con la conseguenza che l’opera finale viene affidata ad imprese locali, a prezzi risicati, che talvolta vengono a determinare gravi crisi economiche che si aggregano per gestire tali situazioni). In materia di Pubblica Amministrazione e di appalti c’è la tendenza a lasciare la magistratura disinformata. Brindisi e la sua provincia sono da considerare “zona a rischio” dove fermo restando l’attuale quadro delle attività di contrasto non per molto tempo ancora potrà fronteggiarsi il fenomeno delinquenziale nel suo complesso, con un minimo di successo, sì da evitare le occupazioni di territorio antistatuali, proprie della Sicilia, della Campania e della Calabria. Gli avvicendamenti delle amministrazioni comunali degli ultimi anni sono stati quasi sempre determinati da contrasti sulle vicende urbanistiche delle città, anche se le crisi politico-amministrative si sono sempre risolte a favore della medesima coalizzazione di partito. Qualora i rispettivi interessi politici si saldassero con interessi economici e finanziari di privati, il degrado istituzionale sarebbe irreversibile.Occorre altresì affrontare seriamente i problemi della provincia brindisina al fine di avviare al lavoro vaste fasce di giovani disoccupati (è alto il numero dei disoccupati) nonché di riqualificare e rioccupare manodopera risultante esuberante in seguito alla crisi del petrolchimico e al futuro completamento dei lavori della centrale ENEL di Ceraro. Gli spazi d’intervento sono ancora abbastanza ampi, gli anticorpi ci sono: la regione, nonostante varie difficoltà e pur nel quadro grave nelle crisi internazionali, si distingue per la capacità dell’imprenditoria e le innovazioni tecnologiche; si ribadisce che non c’è in Puglia alcuna tradizione di criminalità o camorrista; rispetto alla criminalità organizzata operante nella regione, non c’è indulgenza popolare; la mentalità pugliese, nel complesso è ben lontana dai caratteri distintivi della cultura mafiosa, occorre soltanto non ritardare la presa di coscienza della necessità di contrastare la delinquenza organizzata con una attività seria e adeguata.In questa relazione si leggevano già tutti i malesseri che inesorabilmente, senza il supporto concreto delle istituzioni, della politica e della società civile, avrebbero consolidato e strutturato pericolosamente anche questo fenomeno criminale, con la conseguente affermazione di culture e regole parallele a quelle sancite dalla nostra Costituzione: un frutto velenoso che avrebbe contribuito a indebolire ulteriormente il diritto alla partecipazione democratica dei lavoratori, dei cittadini e dei circuiti economici sani, della Puglia, con le conseguenze già affermatesi nelle altre regioni del sud.
Ancora una volta la politica celebra la sconfitta della democrazia che per sua stessa incuria ha prodotto. Nella relazione della Commissione Parlamentare antimafia approvata nella seduta del 15 ottobre 1991 si legge: La Puglia presenta una realtà socio-economica in rapidissima crescita, che l’ha trasformata in pochi anni in un importante polo industriale. Nel 1990, mentre la media di crescita nazionale del prodotto interno lordo, si è attestato intorno al 2,7%, il tasso di sviluppo della Puglia è stato pari al 4,1%. Il dinamismo degli operatori economici pugliesi che ha consentito il decollo industriale dell’intera regione, ha inevitabilmente richiamato l’attenzione della criminalità locale e delle regioni vicine. L’imponente flusso di denaro frutto delle attività illegali ha provocato una massiccia immissione nel mercato di capitali illeciti.Si è esteso il raggio d’azione delle cosche ed è, inevitabilmente, aumentato il livello di corruzione dell’apparato pubblico, minacciato e blandito da una criminalità sempre più agguerrita e sofisticata. A due anni di distanza dal precedente sopralluogo della commissione è stato accertato un complessivo deterioramento della situazione pubblica nell’intera regione. Sul piano regionale, all’efficace coordinamento delle tre forze di polizia, non corrisponde un adeguato contributo degli enti locali (vedi la scarsa efficienza dei vigili urbani). Attualmente operano in Puglia 32 gruppi criminali con 2542 affiliati, tutti individuati dalle forze dell’ordine. Una delle zone a maggiore concentrazione criminale della Puglia è certamente Fasano. Vi operano da anni i gruppi facenti capo a Giacomo Sabatelli e a Giuseppe D’Onofrio, (già entrambi segnalati dalla polizia nel marzo 1977 come partecipanti a riunioni con i capi della malavita siciliana e napoletana) sono accertati loro collegamenti con alcuni personaggi di spicco della mafia siciliana come Pietro Vernengo, capo della cosca mafiosa palermitana di “S. Erasmo” e “Ponte ammiraglio”. Nel territorio Fanese agiscono pure il napoletano Pietro Panini ed il palermitano Antonio Leonardo. Dall’inizio degli anni ’80 si registra una consistente presenza di esponenti della malavita organizzata siciliana, quali Amedeo Pecoraro, Giuseppe Baldi, Stefano Fontana, Filippo Marchese, appartenenti alla cosca di “Corso dei Mille” e Filippo Messina della cosca del quartiere Brancaccio.A rapporto di collaborazione tra i soggetti locali e personaggi malavitosi di altre zone del paese, è dovuto l’ampliamento delle strategie operative della criminalità Fanese, in particolare l’attività svolta da Pietro Vernengo ha consentito l’inserimento della zona di Fasano nel traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Nel corso delle indagini alcuni pentiti hanno confermato l’esistenza di una raffineria cogestita dal D’Onofrio e dal Vernengo. Un pentito ha riferito che Stefano Fontana tiene i collegamenti tra l’Italia ed il Sud-America, a seguito di un accordo con il cartello di Medellin. Egualmente preoccupante è il livello della sicurezza pubblica nella zona di Mesagne.Lo stesso sindaco della città ha riferito la sua sensazione di un sistema estorsivo generalizzato, sostanzialmente accettato da una popolazione ormai sfiduciata. Le caratteristiche della criminalità nella zona di Mesagne rendono necessarie indagini più incisive nei settori dell’economia che, verosimilmente, vengono in larga misura alimentati con i proventi delle attività illecite. Nel comune di Mesagne, infatti, ha recentemente iniziato ad operare una finanziaria che risulta costituita da noti pregiudicati. Per quanto riguarda le infiltrazioni della criminalità organizzata nella Pubblica Amministrazione, pur non essendo emersi sicuri riscontri di contiguità, molti segnali lasciano ritenere che la delinquenza brindisina si appresti a compiere un salto di qualità, tentando un inserimento stabile nel mondo imprenditoriale, con inevitabili rapporti con le amministrazioni locali.Uno degli elementi trainanti dell’intera economia foggiana è l’edilizia. È un settore “che scotta”, hanno concordemente affermato i magistrati che se ne occupano. L’edilizia rappresenta il governo delle sezioni edili, all’interno dell’associazione industriali e costituisce, quindi, la possibilità di controllo dell’associazione stessa.Il Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Pretura, che si occupa quasi esclusivamente di edilizia, ha dichiarato di aver subito, per questa sua attività, tentativi di delegittimazione attraverso campagne di stampa e dichiarazioni pubbliche di altri magistrati e di aver ricevuto gravi minacce che hanno indotto l’autorità di pubblica sicurezza a provvedere alla sua protezione.L’inchiesta avviata sulla commissione edilizia ha fatto emergere una situazione di palese illegalità nell’edilizia foggiana e di grave corruzione di tecnici comunali, amministratori e membri della commissione edilizia, secondo quanto affermato da un esponente di un partito di maggioranza (il socialista Meluso). Anche il capogruppo del PDS, consigliere Coppola ha fatto rilevare che del disguido delle pratiche di concessione vi sono delle corsie accelerate per i più grandi costruttori di Foggia, i cui direttori dei lavori e progettisti erano membri della commissione edilizia, che è stata in regime prorogativo per circa undici anni. Durante questo periodo membri della commissione, eletti perché consiglieri comunali, sono rimasti stranamente al loro posto anche dopo la fine del mandato ricevuto dagli elettori e non sono stati sostituiti neppure i membri deceduti. La commissione edilizia è stata convocata pochissime volte e non sono rari i casi in cui è mancato il numero legale. L’inchiesta tuttora in corso ha fatto emergere la mancanza di un criterio automatico o, comunque, chiaramente determinato nella trattazione delle pratiche.Sul punto, il capo della sezione urbanistica del comune di Foggia, ha confermato al magistrato inquirente, che “tutto era ad libitum dell’assessore all’urbanistica che decideva quali pratiche dovevano essere esaminate dalla commissione. Oltre a numerosi reati urbanistici, sono emersi comportamenti in stridente contrasto con i criteri di trasparenza che dovrebbero ispirare l’attività di un ente pubblico. Il segretario particolare dell’assessore all’urbanistica era il fratello di un noto costruttore che “riceveva sempre concessioni in tempi reali”. Alcuni costruttori riuscivano a portare una pratica anche due volte in una settimana, in commissione, mentre altre pratiche rimanevano ferme da 15 anni.Nel corso della complessa indagine, in parte trasferita alla Procura della Repubblica presso il tribunale, sono venuti alla luce episodi indicativi di un acuto malessere della magistratura foggiana. Anche nel foggiano si è assistito ad una vertiginosa proliferazione delle società finanziarie (nella provincia ne esistono 50 ed altrettanti sedi secondarie di società di altre zone del paese. Gli investigatori non escludono in questo settore la presenza di soggetti strettamente legati alla criminalità organizzata intenzionati a riciclare il denaro proveniente da attività illecite. L’attività investigativa della squadra mobile di Foggia ha portato all’arresto dei pregiudicati Ernesto Franco e Bruno Marzocco, titolari di due finanziarie, che venivano utilizzate per la copertura di operazioni illecite (truffe, riciclaggio).Numerose verifiche sono state effettuate dalla Guardia di Finanza nel settore delle frodi CEE e della grande evasione fiscale. È risultato che tra i soggetti che operavano nel campo delle fatturazioni per operazioni inesistenti ve ne sono alcuni che appartengono, in posizione di spicco, ad organizzazioni criminali. Nella stessa relazione (stilata sempre all’interno di quella prudenza che troppe volte rasenta l’afasia politica che non ha il coraggio delle risposte o addirittura le dà sbagliate) si evincevano già allo stato strutturale tutti i guasti socio-economici (disoccupazione giovanile, abbandono scolastico, disoccupazione ed assistenzialismo frutto della deindustrializzazione, della corruzione amministrativa, ecc.) prodotti da quello strabismo politico amministrativo ed economico incapace di partire dalle proprie responsabilità che sommate all’endogena criminalità organizzata agguerrita, scolarizzata dalla criminalità esogena esistente nelle regioni vicine ha prodotto il quadro attuale della Puglia che oggi è ancora più sconfortante da quello presentato dalla relazione della Commissione Antimafia del 15 gennaio 1992... ora anche il mondo del lavoro pugliese in molti suoi risvolti è ostaggio della criminalità organizzata che si sostituisce alle attività legali e “dà lavoro ai più emarginati” privando casi del diritto alla partecipazione democratica molti lavoratori pugliesi e mettendo in grave difficoltà l’economia sana di quella importante regione del paese.Leggendo alcuni passaggi delle relazioni antimafia di altre due regioni, la Basilicata e il Lazio evinceremo pittoricamente che la mafia endogena, “Cosa Nostra”, “’ndrangheta” e “Camorra” dagli anni ’70 in poi più che pericolo di ordine pubblico sono diventati un problema di contabilità e di democrazia; infettando l’economia legale di gran parte del sud del Paese, sfruttando 3 dati essenziali: la gretta rapacità di certa imprenditoria impegnata più a truffare le comunità che a produrre beni e servizi, la corruttela politica-amministrativa e l’inadeguatezza istituzionale sempre in ritardo nei delitti consumati dentro il circuito economico contro l’imprenditoria sana ed i lavoratori. Nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia approvata il 23 gennaio 1992 in merito allo stato della criminalità organizzata in Basilicata si legge quanto segue: In tutti gli incontri delle Commissioni è emersa l’anomalia di questa regione, stretta fra province inquinate dalla delinquenza organizzata e tuttavia ancora legata a proprie peculiarità culturali, ma con un forte rischio di omologazione alla Puglia per effetto delle strategie di organizzazioni mafiose che cercano nuovi spazi. Sarà necessario l’impegno dei pubblici poteri e di tutte le forze sociali ed imprenditoriali per stroncare tentativi già in corso nelle realtà produttive e finanziarie della regione. Questo è tanto più necessario anche in vista di preannunciati investimenti industriali e per opere pubbliche (come, ad esempio, quelli legati alla installazione di uno stabilimento FIAT nel Melfese).È necessario cioè operare perché non si ripeta l’esperienza del dopo-terremoto, quando la promessa industrializzazione non ha sortito gli effetti sperati, ma anzi inclinato in alcuni casi la trasparenza e la correttezza della Pubblica Amministrazione e dell’attività imprenditoriale, come è documentato nella relazione di una Commissione bicamerale d’inchiesta e in iniziative giudiziarie (fra le quali un procedimento penale in corso, relativo ai rapporti fra una società che ha compiuto importanti lavori nella fase post-terremoto ed altri tuttora in corso, una società finanziaria ed una banca).Le recenti vicende della vicina area Pugliese indicano che laddove è prevalsa una sottovalutazione dei fenomeni criminali nascenti, la locale delinquenza è stata protagonista di una straordinaria metamorfosi che l’ha portata in breve tempo ai livelli di aggressività propri di mafia, camorra, e ‘ndrangheta. A parere del Prefetto di Potenza (che ha poteri di coordinamento sull’intera regione) sono in corso infiltrazioni malavitose nelle zone del Metapontino, del Melfese e dell’Agronegrese, conforme di stabile insediamento nei comuni di Scansano, Policoro, Montescaglioso, Melfi; permangono dappertutto episodi di criminalità tradizionale che però rischiano di trasformarsi in “forme aggregative con possibile sbocco in una vera e propria criminalità organizzata”.Nella relazione sull’amministrazione della giustizia del 1989 il Procuratore Generale della Corte di Appello denunciava rischi di inserimento delle organizzazioni delinquenziali e rilevava una inadeguatezza della risposta dello Stato che “da sempre non fa che rincorrere la mafia e la camorra, muovendosi... per affrontarle quando sono vicine ossia quando già si manifestano le loro azioni e le loro impostazioni delittuosi”.Nella successiva relazione del 1990 lo stesso magistrato ricordava i gravi fatti criminosi di Montescaglioso, Policoro, Nova-Siri, Tursi, Scansano, Montalbano, Marconia (Pisticci), Metaponto ed aggiungeva che in tali località la delinquenza aveva assunto forme tipicamente mafiose. Si precisava inoltre che “vi sono sintomi di mediazione mafiosa di controllo nella guardiania, nella distribuzione di una risorsa preziosa e scarsa come l’acqua, nella intermediazione del mercato dei prodotti della terra e della manodopera. La progressione della criminalità in provincia di Matera può ricavarsi dalle informative trasmesse dal locale Procuratore della Repubblica al Procuratore Generale della Corte di Appello per le inaugurazioni degli ultimi anni giudiziari. Nel 1988 si faceva riferimento ad un flusso di denaro pubblico che sovente veniva impiegato e distratto a fini illeciti; scarsissima, se non inesistente, è la vigilanza affidata agli enti erogatori che si limitano a controlli del tutto formali nella fase di approvazione, tralasciando di seguire quella esecutiva e fornendo così l’occasione per indebite distrazioni od appropriazioni”. Nel 1989 si riferiva che il comparto agro-alimentare era stato preso di mira dalla criminalità organizzata, attirata prevalentemente dal settore delle concessioni di contributi per opere pubbliche, sovvenzioni ed agevolazioni per attività produttive”. In definitiva il magistrato richiedeva una intensificazione della vigilanza da parte degli organismi competenti in tale settore, in materia di appalti, concessioni e sovvenzioni, nel campo delle assegnazioni di terreni provenienti dalla riforma fondiaria. Si richiedeva altresì una maggiore attenzione delle pubbliche amministrazioni per raggiungere il duplice risultato “di porre fine ad aree di illegalità diffusa e di ridare fiducia ai cittadini i quali sarebbero incoraggiati ad una più efficace collaborazione”.Le forze istituzionali e politiche hanno riferito della preoccupazione per pericoli d’intervento della criminalità sui lavori d’insediamento della FIAT nella zona di Melfi. Sono già stati effettuati più di 20 arresti per imputazioni connesse ai subappalti di tali lavori.Tra gli altri sono stati arrestati alcuni pregiudicati soci di un’impresa che ha eseguito in subappalto non autorizzato, lavori di movimento terra nel Cantiere FIAT di S. Nicola. Il Presidente del Tribunale di Melfi ha fatto notare che negli ultimi 3 anni sono notevolmente aumentate le iscrizioni societarie (107 nel 1989, 137 nel 1990, ben 91 nel primo semestre del 1991) con oggetto giuridico generico e formalmente riguardante il terziario, il settore tecnologico o servizi gestiti in cooperative, ma miranti in realtà ad acquisire i contributi dello Stato ed a precostituire posizioni di vantaggio per la aggiudicazione di appalti di vario genere.Le dichiarazioni di fallimento sono ugualmente aumentate in tale periodo (9 nel 1988, 12 nel 1989, 14 nel 1990, 12 nel primo semestre del 1991); ciò rivelerebbe una dinamica estremamente turbolenta in cui le iniziative imprenditoriali vengono seriamente minacciate da tentativi di arricchimenti illeciti, sia lucrando pubblico denaro, sia inserendosi nelle procedure in atto per la realizzazione degli stabilimenti FIAT e nei relativi indotti. In relazione a tali consistenti pericoli, l’attività di contrasto risulta essere quantitativamente insufficiente e non adeguata dal punto di vista professionale.La Guardia di Finanza riconosce di non avere avanzato a Potenza alcuna richiesta di misure di prevenzione di natura patrimoniale e dall’esame dei verbali delle riunioni del Comitato Provinciale di Matera per l’ordine e la sicurezza pubblici, non emerge alcuna analisi (e di conseguenza alcun impegno in ordine al legame abbastanza evidente fra il sistema delle estorsioni, dilaganti in quella provincia e la formazione di illegali presenze finanziarie).Le forze di polizia ascoltate nel corso delle audizioni hanno talvolta dato preoccupante prova di inadeguata conoscenza della dinamica criminale nella regione, in particolare nella provincia di Matera, esponendo modalità di intervento ed impegni nell’organizzazione dettati più da una preoccupazione di ordine formale e burocratico che da una visione di insieme del fenomeno e da una conseguente strategia di contrasto. Un dettagliato e documentato esposto presentato al Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, ed inviato per conoscenza alla Commissione, nei confronti del sottufficiale Comandante della stazione di Pisticci ha posto in evidenza una grave caso di assenza di imparzialità da parte di un pubblico funzionario che dovrebbe garantire i diritti dei cittadini nei confronti delle aggressioni criminali.Il Prefetto di Potenza ha assunto l’iniziativa di coordinare l’azione e migliorare la collaborazione fra carabinieri, polizia di STATO, ispettorato del lavoro e FIAT per investigare nel settore degli appalti e dei subappalti al fine di stroncare eventuali attività criminali. Ma ciò non sembra sufficiente in relazione alla reale situazione della Provincia.Il fenomeno deve essere fronteggiato con una buona conoscenza dei flussi e degli interessi criminali convergenti nella regione, nonché con il rafforzamento di controlli in quelle sedi amministrative, societarie e finanziarie ove oggi maturano i piani di intervento dei poteri criminali.
La situazione della Basilicata è su un crinale. Può precipitare verso il modello pugliese o può restare nei limiti della tollerabilità. Molto dipende da ciò che verrà fatto nei prossimi mesi dal Governo centrale, dalla magistratura, dal governo regionale, dalle amministrazioni comunali, dal mondo imprenditoriale e dal mondo del lavoro.
Nella relazione della Commissione Parlamentare Antimafia inerente a Roma e nel Lazio, approvata il 20 novembre 1991 si legge quanto segue: La ricognizione effettuata in diverse regioni dalla Commissione Parlamentare Antimafia ha condotto alla individuazione delle caratteristiche nuove del reticolo delle attività del crimine organizzato, ben oltre le tradizionali aree geografiche di insediamento della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra. Roma e provincia hanno costituto meta di importanti personaggi della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra, che hanno stabilito collegamenti con esponenti della malavita romana e con faccendieri legati ad alcuni settori del mondo economico e finanziario. Le due principali bande operanti nel territorio cittadino, quella della Magliana e quella del Testaccio, sono state scompaginate da una serie di operazioni di polizia, alle quali hanno fatto seguito, almeno in primo grado, severe condanne da parte dell’autorità giudiziaria.In particolare la banda della Magliana si è sfaldata al momento dell’arresto di Pippo Calò, che se ne serviva, unitamente ad elementi della destra eversiva. A Roma agiscono anche diverse organizzazioni criminali di modesta consistenza, legati da vincoli associativi non troppo stretti e dotate di limitata capacità operativa. Nella città di Roma vari fattori hanno consentito alla criminalità organizzata di stampo mafioso di insediarsi ed operare con relativa “tranquillità”: la posizione geografica centrale, la vicinanza con zone dove è più consolidato l’insediamento mafioso, la presenza di importanti centri del potere economico, finanziario e politico, la dimensione dell’area urbana della capitale, che rende meno agevoli i controlli delle forze dell’ordine e garantisce una più facile mimetizzazione.Dati attendibili confermano l’antica “vocazione” romana di “Cosa Nostra” che ha creato, nel territorio della capitale, strutture organizzative rivelatrici di una presenza organica che agivano rispettando gli schemi e le gerarchie mafiose (a Roma esisteva una decina della famiglia di S. Maria di Gesù di Stefano Bontade). Anche Leoluca Bagarella e Giuseppe Madonia hanno dimorato a Roma per qualche tempo.La recentissima operazione della Squadra mobile di Roma ha portato alla luce l’inquietante presenza di interessi camorristici nella capitale. Il noto boss Ciro Mariano è stato arrestato, unitamente al suo fiduciario su Roma, Giuseppe Criscudo ed ai faccendieri milanesi La Porta e Turra, mentre si trovava all’interno del ristorante “Meo Pinelli” a Cinecittà per definire un’operazione finanziaria relativa alla società SINTESIS con sede a Napoli e facente capo allo stesso Mariano. Nel comune di Pomezia, costituito 50 anni fa da gruppi etnici di diversa estrazione attorno agli insediamenti industriali, che ne hanno determinato il rapido sviluppo economico, vi è stato l'inserimento di elementi dediti ad attività criminose. La struttura pubblica non è rimasta immune da contaminazione e gli amministratori locali sono stati oggetto di frequenti inchieste giudiziarie. Gli eleganti residence lungo la litoranea che va da Fregene a Nettuno, sono stati utilizzati da esponenti criminali come comodi rifugi da dove dirigere le attività delittuose.La criminalità organizzata di tipo mafioso si colloca in un contesto dove è evidente una notevole crescita dell’insicurezza collettiva e degli indici di delittuosità. La facilità di ingresso nel territorio nazionale di un gran numero di stranieri fornisce alle organizzazioni criminali una abbondante manovalanza di soggetti in condizioni assai disagiate e di difficile collocazione nel mercato del lavoro.Di conseguenza cresce l’afflusso in Italia di malviventi stranieri, anche in bande organizzate. A partire dagli anni ’70, i gruppi mafiosi unitamente ad esponenti della camorra, hanno cominciato ad investire il ricavato delle attività delittuose in negozi di abbigliamento, gioielleria, in negozi di elettrodomestici, autosaloni, esercizi alberghieri, imprese immobiliari, società finanziarie, società import-export e perfino nell’industria cinematografica.Negli ultimi tempi i gruppi criminali sono riusciti ad introdursi anche nel settore bancario ed assicurativo. È stato accertato che un soggetto con precedenti rilevanti e collegamenti con esponenti mafiosi ha rilevato e successivamente ceduto una società di assicurazioni quotata in borsa. Altre indagini sono in corso su una clinica privata, ubicata in provincia di Roma, gestita da un pregiudicato collegato alla criminalità organizzata.
Anche il settore dell’editoria, in particolare le società aventi per oggetto la compravendita e la distribuzione a livello nazionale, di libri ed enciclopedie, suscita l’interesse di esponenti mafiosi.Certamente “a rischio” è il settore immobiliare, dove sono presenti tutte le organizzazioni criminali operanti nella capitale: Pippo Calò disponeva nell’intera regione, di un cospicuo patrimonio immobiliare, Flavio Carboni era interessato ad oltre 100 società che operavano a Roma, in Sardegna ed in altre località italiane, Gaspare Gambino ha investito ingenti capitali nel settore alberghiero, in quello immobiliare ed in aziende agricole, Giulio Lena facente parte di un’organizzazione internazionale dedita al traffico di stupefacenti, era interessato al settore immobiliare tramite una società finanziaria, un esponente dell’’ndrangheta calabrese, con precedenti per sequestro di persona, si occupa di intermediazioni immobiliari.L’imponente liquidità proveniente dal traffico della droga e da altre attività illecite su larga scala, consentono alle associazioni delinquenziali più forti di penetrare nel mondo economico modificandone i vecchi assetti. Il quadro complessivo che si ricava fa risaltare la peculiarità romana rispetto ad altre zone del paese: la pur avvertibile presenza mafiosa si manifesta in forme poco appariscenti e mira ad inserirsi in attività economiche attraverso la costituzione di società, spesso intestate a prestanomi, che operano almeno apparentemente, rispettando le regole del libero mercato.I personaggi malavitosi si avvalgono, per la gestione delle attività imprenditoriali e commerciali, della collaborazione di professionisti esperti nei rispettivi settori. Il livello di penetrazione nel mondo economico e la dimensione degli affari trattati può evincersi dai contatti, emersi nel corso di intercettazioni telefoniche, con personaggi quali Licio Gelli, deferente chiamato “il grande venerabile”.Allarmanti segnali sui collegamenti tra imprenditoria d’assalto (con frequentazioni mafiose) ed il mondo politico amministrativo romano, sono stati portati alla luce dall’inchiesta avviata sul cosiddetto “affare Tor-Vergata”. Inserito in una vasta area del Lazio meridionale - compreso tra Ponezia, Cisterna e Latina - quello di Aprilia è un territorio senza difesa situato all’estremità della provincia di Latina, che - hanno lamentato gli amministratori locali - è seguito con scarsa attenzione dallo Stato. Le risorse ambientali sono state compromesse dall’abusivismo, sia edilizio che industriale, e dalle esternalità dell’area metropolitana romana. Il progetto di sviluppo della città che prevede una notevole spesa per le infrastrutture, opere pubbliche, riqualificazioni urbanistiche, ha attratto gruppi malavitosi. Il clan calabrese degli Alvaro ha rilevato un’azienda agricola di mille ettari nei pressi della frazione di Torre del Padiglione.Su richiesta del Comune - ha informato la Commissione Antimafia la compagnia dei carabinieri di Aprilia - ove è iniziata una vasta repressione dell’abusivismo edilizio, con oltre 20 cantieri sequestrati tra il febbraio e il marzo 1991.Con i gruppi locali dell’’ndrangheta anche le partecipazioni statali intrattengono dei rapporti, se è vero - ha denunciato l’Arma - che la famiglia Alvaro riceve appalti dalla SIP, dall’ENEL e da altre aziende pubbliche.Nella provincia di Frosinone l’episodio di infiltrazione camorrista più rilevante appare quello che ha coinvolto diverse ditte dei clan casertani e napoletani nel subappalto dei lavori per la terza corsia dell’autostrada A2 nel tratto compreso da S. Vittore nel Lazio e Capua. Due provvedimenti delle procure di S. Maria Capua Vetere e di Cassino, un rapporto dell’alto commissario antimafia documentano le dimensioni finanziarie dell’operazione, gli effetti prodotti sul territorio della provincia laziale, i condizionamenti apportati all’intervento pubblico (ANAS, Società Autostrade) nelle concessioni dei lavori.L’inserimento della camorra avviene attraverso l’imposizione alle grandi imprese di subappalti per forniture di materiali e di lotti di lavori. Così per esempio, Felice Ambrosca e Giovanni Di Benedetto, entrambi imprenditori edili di Cancello Arnone in provincia di Caserta, sono riusciti a subentrare ad altre imprese minori che misteriosamente hanno rinunciato a proseguire.Quello delle cave nelle località adiacenti ai cantieri per la terza corsia dell’A2 è uno dei settori nei quali la camorra punta a conquistare il monopolio, e in questo si riconferma una costante del suo Modus-Imperandi: che ha come ricaduta la possibilità di ricattare l’insieme delle imprese di costruzione impregnate nei cantieri della grande opera pubblica. È il caso appunto, della Bitum-Betom del clan Nuvoletta: aveva necessità di acquisire in zona una produzione di conglomerato per il tratto A2 tra Cassino, Cervaro, S. Vittore, Rocce, Teano. Quindi ha cercato di impadronirsi della COGEBIP, di cui sono stati colpiti due impianti a S. Vittore del Lazio. Le autorizzazioni “a termine” per i lavori della terza corsia hanno così determinato un monopolio che strozza i piccoli imprenditori.Il fenomeno criminale nel Lazio ed in particolare nella capitale pur non presentandosi ancora ai livelli delle regioni a più alta intensità mafiosa, appare in espansione la criminalità organizzata, potendo contare su una grande disponibilità di denaro e su sistemi organizzativi sempre più sofisticati, minaccia il tessuto civile, le attività economiche e le amministrazioni pubbliche.
Dal canto suo la Pubblica Amministrazione, in presenza di un fenomeno criminale in preoccupante crescita ed alla luce degli ormai numerosi episodi di mal costume amministrativo deve dimostrarsi impermeabile alle pressioni della malavita organizzata.
Gli accertati casi di concussione e di corruzione di pubblici funzionari e di amministratori, pur non essendo collegati alla malavita organizzata, sono indicatori di un diffuso malessere, che rischia di essere sfruttato dalle grandi centrali criminali che tendono ad acquisire coperture sempre più importanti nel mondo politico-amministrativo.
Nessuno studio sulla criminalità organizzata e sulle cause che l’hanno elevata a pericoloso fenomeno nazionale, nel circuito socio-economico e produttivo, dovrebbe prescindere dall’analisi delle pur prudenti relazioni della Commissione Parlamentare antimafia... esse ci conducono sull’uscio socio-economico e culturale, di quel coagulo d’interessi, che la letteratura ufficiale ha fin qui solo sfiorato perché basata essenzialmente sulla statistica ufficiale, sugli atti giudiziari e extragiudiziari. Poco e forse con pochi strumenti, ad avviso di chi scrive, s’è lavorato nella trasparenza delle imprese: nel legame tra economia legale ed economia criminale e le sue ricadute nella qualità di sviluppo delle imprese e sul mercato del lavoro... Negli studi ricorrenti si sono sempre affrontati i temi inerenti la salute economica, e amministrativa dell’impresa; studiata la possibile riorganizzazione dei processi d’internazionalizzazione dell’economia; l’adeguamento della strumentalizzazione fiscale; i ritardi della giustizia civile e penale ecc...Con dovizia statistica e documentale si è attenzionato un problema sicuramente importante, trattandolo nel percorso delle sue evoluzioni e dei suoi rapporti con il sistema economico, legislativo e ambientale; studiando le strategie più idonee a tutela della salute e della dinamicità dell’impresa che per sua natura ha come evento probabile quello della morte economia che provoca costi irrecuperabili per tutti gli attori socio-economici e istituzionali interessati...Studi eziologici molto interessanti sono stati effettuati dalla “Fondazione Rosselli” a cura di D. Masciandaro e F. Riolo che però sul tema “Crisi d’impresa e criminalità” a cura di Donato Masciandaro soffre, a mio avviso, di quelle carenze formate all’interno d’una filosofia letterale, che storicamente ha poi sempre reinterpretato i fenomeni criminali di natura endogena, in funzione antisistema, per celare le debolezze in funzione economica e istituzionale. Donato Masciandaro però centra in pieno la funzione e la natura del fenomeno criminale quando dice: “L’obbiettivo criminale non implica la massimizzazione del profitto perché la redditività d’impresa è uno scopo accessorio che in funzione economica consente ad essi di svolgere attività di controllo del territorio e del consenso ambientale, là dove lo Stato non c’è...”La riflessione eziologica di Donato Masciandaro unitamente a quella di D. Cressey e E. Sutherland: Una persona diventa delinquente in quanto si trova in presenza di un eccesso di definizioni favorevoli alla violazione delle leggi rispetto a definizioni non favorevoli alle violazioni. Questo è il principio dell’associazione differenziale che si riferisce sia alle associazioni criminali, e che riflette un campo di forze interagenti e contrapposte. Formano pittoricamente il quadro di quelle imprenscindibili condizioni socio-economiche e ambientali, utili alla criminalità organizzata per infiltrarsi nell’economia legale e nel mondo del lavoro.In questo contesto potrà costruire: le condizioni per attuare la concorrenza sleale attraverso l’intimidazione e la sua elasticità finanziaria; comprimere il salario e la bassa conflittualità interna attraverso la selezione dei lavoratori da assumere, e contare nella corruttela che attiverà attraverso lo sfruttamento dei bisogni personali dei dipendenti e delle clientele.Queste ultime “debolezze umane” all’inizio somigliano molto a innocue scorie porose..... Poi nel tempo si radicheranno e si solidificheranno con il cemento della codardia e dell’inerzia, formando un muro oppositivo ai tentativi di penetrazione del sindacato, quando questo, nelle sue periferie provinciali e territoriali non s’è trincerato dietro la “comoda” rigidezza del ruolo, delle forme e delle competenze.....Gli studiosi italiani fondano le loro tesi sulla natura predatoria della criminalità organizzata non attenzionando adeguatamente la qualità logistica, ambientale ed economica del suo consenso che non è sempre frutto della sua capacità intimidatrice.
La criminalità organizzata non agisce contro, ma dentro il sistema, e mette le sue regole a disposizione del circuito economico dominante nel suo territorio e nei territori che ha conquistato. Alla “sua filosofia”, che molte volte si coniuga con la rapacità imprenditoriale connaturata in tutti i comparti del circuito economico, sia pubblico che privato e “l’inadeguatezza” delle forze sociali e istituzionali, il più delle volte frutto della capacità corruttrice della grande impresa, che oggettivamente ed in alcuni casi anche soggettivamente, attraverso la presenza criminale nel suo circuito economico, costruisce le condizioni di maggior profitto operando contro gli interessi economici e ambientali (non scordiamoci che oggi la criminalità organizzata garantisce lo stoccaggio occulto di materiali tossici e nocivi) delle comunità e contro i lavoratori.La criminalità organizzata, nel circuito economico e produttivo, opera essenzialmente su due fronti: quello economico che agisce sulle “debolezze umane” (corruttele, riduzione costi, riciclaggio nelle imprese e nelle attività commerciali in crisi, ecc.) e quello intimidatorio sui beni e sulla sicurezza personale dei soggetti oppositivi (titolari di imprese, commercianti che si ribellano alla concorrenza sleale, cittadini e lavoratori che vorrebbero denunciarne la presenza, uomini delle istituzioni che possono metterla in difficoltà, ecc.). Da tempo ormai remoto, la criminalità organizzata ha ridotto la sua caratterizzazione territoriale ed è presente in molte aree del Paese che non possono ancora certamente dirsi assoggettate alle regole parallele già strutturate nel tessuto socio-economico del Sud. I due fronti in questione unitamente alla natura positivistica dominante nell’economia legale (che invece molte volte adotta qualsiasi strategia disponibile pur di accrescere potere e profitti o per salvarsi dalle difficoltà economiche dovute a fenomeni congiunturali od incapacità gestionale), hanno dato dignità di ruolo nel mondo del lavoro alla criminalità.L’estorsione (che è sempre preceduta dall’atto intimidatorio: minacce telefoniche, danneggiamenti, ecc.), non è la costante della filosofia mafiosa, bensì il momento ritorsivo contro l’operatore economico o imprenditoriale oppositivo, per indurlo a cercarsi “l’amico” (gancio) in ambito criminale, che il più delle volte conosce già ed al quale non aveva ancora dato il giusto peso. Tutte le storture, fin qui assunte dalla letteratura ufficiale, sono frutto dell’imprudente utilizzo delle statistiche e di casi individuali conosciuti a mezzo stampa o dentro quei Processi Giudiziari, ove molte volte le vittime presentano i ruoli e le funzioni della criminalità organizzata, dal loro utile punto di vista: 1) per non isolarsi completamente dal contesto socio-economico; 2) nella vana speranza di restringere il fronte dell’odio criminale e del contesto che hanno messo sotto accusa. Ad avviso di chi scrive, è anche accaduto che casi di estorsione operati dalla comune associazione a delinquere (là dove “Cosa Nostra” aveva limiti di operatività, grazie all’attività giudiziaria) sono diventati reati mafiosi per l’utilità politica e di quelle associazioni ad essa collegate...Le statistiche dimostrano una forte relazione tra diffusione del Racket e crisi d’impresa... quindi quando si dà dignità empirica alla tesi che la criminalità organizzata fonda sull’attività estorsiva un suo vantaggio economico, si parte dall’equivoco e si trasgredisce nello sbaglio concettuale: che senso ha estorcere denaro a chi non ne ha, costruendosi così un nemico pericoloso, proprio in virtù della sua disperazione?!! Perché la criminalità organizzata non impone il Racket nel circuito economico sano, nella grande distribuzione, nella grande industria e nei grandi appalti?!!La risposta a questi quesiti, e la conferma alla mia tesi (frutto delle mie esperienze esistenziali) l’ha già data la Procura di Palermo il 30 luglio 1998: A Palermo imprenditori e commercianti pagavano il pizzo volontariamente per aiutare i boss messi in difficoltà dall’attività giudiziaria...Di fatto l’attività principale della criminalità organizzata, nel mondo del lavoro è quella di agganciare il soggetto disponibile (impresa, esercizio commerciale, ecc.) per mutuare la sua assistenza economica (riciclaggio) con quella di copertura. In questi casi, come spiega empiricamente Umberto Santino (La Fiura 1990): “L’impresa può continuare ad avere come obbiettivo la massimizzazione del profitto e commettere illegalità, utilizzando: denaro sporco, lavoro irregolare, la violenza come strumento competitivo, ecc...”La verità sta tutta dentro un’analisi empirica che gli studiosi italiani non hanno forse mai avuto il coraggio intellettuale d’affrontare energicamente, perché incapaci d’esprimere la loro critica eziologica nei confronti dei sistemi di potere nel nostro Paese: il frutto velenoso (“Cosa Nostra”) che ha storicamente (in concorso con la classe dirigente siciliana) distorto o addirittura impedito lo sviluppo d’una imprenditoria sana, capace di operare dentro le regole della leale concorrenza, spingendo la canalizzazione delle risorse finanziarie in direzione degli interventi antieconomici e clientelari, utili ai suoi interessi e a quelli del sistema feudale della Sicilia, ha fatto scuola ad altri fenomeno criminali di natura esogena anche nel modello criminale instauratosi nel mondo del lavoro, che è ormai diventato un problema nazionale con il quale, non si ha sempre il coraggio di fare i conti definitivamente; il prevalere di forme illegali o semi-legali, garantiti dalla criminalità organizzata sulla pelle dei lavoratori e della piccola e media impresa sana, tornano utili al grande circuito economico e produttivo.Gli atti definiti criminali non derivano tanto da una socializzazione inadeguata o da problemi di personalità, quanto da scelte coscienti d’agire contro qualcosa (Quinney 1970, p.180).Sarebbe ormai ora che quegli stessi che ancor oggi adoperano il velo e l’oblio nei confronti di questo fenomeno lesivo agli interessi ed alla dignità economica del nostro Paese, si svegliassero.Quando il sistema dell’illecito, attraverso le articolazioni democratiche condiziona l’economia, la questione è essenzialmente politica; quindi non più risolvibile solo con l’attività giudiziaria... il suo risanamento deve passare necessariamente attraverso una generale e profonda opera di rifondazione della Comunità economico-produttiva, nella quale tutti gli attori interessati (lavoratori, imprenditori, commercianti, ecc.) operano dentro una precisa scelta culturale: tutti devono essere direttamente interessati al rispetto della legge e debbono saperla imporre agli stessi potentati politici ed economici.Questa scommessa, ad avviso di chi scrive, non può cominciare fino a quando le strutture periferiche del sindacato, adeguatamente supportate dai vertici nazionali, non si riappropriano del ruolo pionieristico affidatogli dalla storia a difesa della democrazia partecipativa, dei diritti economici normativi dei lavoratori e delle risorse produttive sane.


Conclusioni


Il presente studio, nella sua fase progettuale, comprendeva la collaborazione dei dirigenti periferici delle C. d. L. e dei lavoratori ad esse collegate che purtroppo ad eccezione della C.d.L. di Venezia, non c’è stata.........La scarsa partecipazione di dirigenti sindacali induce a pensare ad una oggettiva difficoltà delle periferie del sindacato a rapportarsi criticamente con il fenomeno criminale e le sue ramificazioni nel mondo del lavoro.
“Il fuggire” dall’impegno oggettivo, d’ assumere una anche minima testimonianza socio-politica, da parte di esponenti sindacali che per ruolo e funzioni rappresentano il volto della Cgil in vaste e significative aree del Paese è un dato molto sconfortante che sono certo, indurrà la Segreteria Nazionale a fare una profonda riflessione.Un sensato e, se vogliamo, anche un prudente contributo delle C.d.L. contattate in Regioni significative del Paese ci avrebbe consentito di mettere in luce, area per area i percorsi attraverso i quali il fenomeno criminale è utilizzato per spregiudicate strategie economiche, talvolta giustificate con il rinvio alle superiori esigenze di interesse generale.
Le note e le riflessioni qui accolte rappresentano il frutto di un lavoro sommario del territorio nazionale che, purtroppo manca di un aggiornamento empirico-documentale d’ aggiornamento sulle novità.Sono quindi valutazioni in “itinere” soggette ad arricchimento successivo qualora la Cgil: Nazionale ritenesse opportuno continuare lo studio sul fenomeno criminale.Ormai siamo in una fase storica nella quale il cosiddetto modello criminale-siciliano è presente quasi in tutto il Paese, con l’ aggravante che oggi esso può contare anche sull’ utilizzo degli extra-comunitari e sullle agguerrite bande dell’est Europa.Gran parte dei capitali di provenienza illecita è investita al Nord del Paese stimolando la rapacità impreditoriale nel settore del commercio, turistico-alberghiero, servizi, prestazioni diomanodopera a basso costo nell’edilizia e nel settore industriale............Siamo in presenza di un notevole aumento delle transazioni finanziarie illegali e di movimenti di capitali che trovano protezione nella pax del benessere.........si sono formati delle vere e proprie aree economiche-criminali entro le quali queste organizzazioni agiscono a quanto pare con veri e propri accordi di cartello che garantiscono l’ assenza di conflitti armati.In quest’ ultimo ventennio in molte Regioni ed in particolari ambienti sociali e produttivi dietro l’ accettazione e la consapevolezza che la criminalità organizzata non è solo una questione Meriodionale si è formata una sorta di rassegnazione latente dovuta anche al fatto che i lavoratori e gli operatori economici onesti oltre alla loro insicurezza personale devono fare i conti anche con il rischio della perdita della loro fonte di reddito.Ad ulteriore prova di tale tendenza sta la moltitudine di piccoli fatti apparentemente scollegati tra loro.
Episodi che sparsi sul territorio Nazionale e relegati nelle pagine interne dei quotidiani locali perdono di significato e importanza, mentre invece un’ attenta analisi, appaiono estremamente signifiativi perchè attestano la capillarità e la diffusione della presenza criminale nel territorio e nel mondo del lavoro.La criminalità organizzata, storicamente organizzata a compartecipare ai meccanismi di uso del denaro pubblico al Nord del Paese, si è data una svolta radicalmente liberista, nella quale l’ assenza di regole certe o superabili degli atti formali, può mettere in campo la sua forza economica per stimolare consensi, offrendo manodopèra a bassissimo costo in ogni settore del mondo del lavoro; ed in virtù della sua natura criminale imporre il rispetto delle sue regole parallele nelle aree interessate, grazie anche alla sua forte capacità di penetrazione in settori deviati dalle istituzioni dall’ imprenditoria e dalla polititca comunemente definita “Poteri occulti”.Il contributo documentale offertomi dai compagni e dall’Istituto Casali di BolognaÈ una lucida testimonianza documentale che fotografa anche la realtà delle altre regioni ricche del Paese, ove ormai la presenza e la gestione criminale di molti settori economici è pacificamente attestata, ne trascrivo un passaggio pittorico:”Il gruppo interforze ha tracciato una mappa nelle associazioni criminali operanti in Emilia, mappa che ha portato ad individuare nella Regione 12 cosche (“Cosa Nostra e ‘ndrangheta”) quattro clan (“Camorra”) e altre 11 sodalizi criminosi di varia natura con complessivi 328 affiliati; [dati del 1993].Dalla mappa emergono nomi “ celebri ” ( Riina, Leggio, Commendatore, Mammoliti, Giuliano, Aragone, Scaduto, Madonia...) e collegamenti con Palermo, Catania, Reggio Calabria, Napoli, Catanzaro, Casetra, Milano e Verona.Per misurare l’ ampiezza dell’ evoluzione criminale nel mondo del lavoro basta guardare con un minimo di attenzione ai processi di esternalizzazione e terziarizzazione dei cicli produttivi nei settori dell’ industria ed edili ove sono visibilissimi le cruenti e feroci forme di prestazione precarie che vedono vittime lavoratori più emarginati che per bisogno sottostanno alle regole parallele imposte da impresari di dubbia moralità che godono della protezione criminale.Tantè che questi stessi lavoratori si chiudono nel silenzio ogni qualvolta si cerca di ricevere notizie sulla loro condizione economica e normativa ;in molti casi non indicano nemmeno l’impresa o la ditta con la quale lavorano lontano dal loro Paese che quasi sempre è di origine meridionale.Già da molti anni, dietro l’ inganno della paga globale, questa sorta d’ imprenditoria formale ha consolidato, in molte Regioni del Nord una sorta di modello produttivo che di fatto è molto apprezzato e ricercato da aziende o imprese grandi e piccole che si riforniscono ogni volta e per il periodo che serve, di manodopera specializzata e non, sfruttandola fino all’ estrema tenuta umana: il tutto è il più delle volte formalmente “corretto”.Purtroppo, escluso la C.d.L. e la Fiom di Venezia che specificatamente stanno lottando contro questo fenomeno socio-economico, non mi risultano ( e non certo per mia colpa) altre C.d.L. del Paese che si stanno battendo con la stessa energia e la stessa progettualità su questo versante dei diritti e della legalita,messo in discussione dal modello Palermitano adottato dalla Fincantieri,anche negli altri cantieri del paese. La situazione a Marghera e forse anche in altre realtà come ad esempio la silenziosa Monfalcone è talmente acuta che ormai alcuni esempi di questo tipo sono stati ripresi dalla cronaca della stampa locale e nazionale :
perfino il segretario Nazionale della CISL SERGIO D’ANTONI “CULTORE PALERMITANO” in una trasmissione televisiva “PORTA A PORTA” avrebbe chiesto,all’interno di un servizio fatto per denunciare questa realtà, l’intervento dell’Ispettorato del Lavoro.Casi come quelli di 30 operai Egiziani della Fin Julia,subappaltatrice della ATW, o quello di 15 operai Rumeni,di un’altra ditta appaltatrice,scoperti a dormire dentro i containers in Fincantieri;oppure quello di operai exstracomunitari che si presentavano alle prime luci dell’alba davanti i cancelli di Fincantieri per esser selezionati dai caporali di turno. Il modello produttivo di questa Azienda a Partecipazione Statale è un piccolo consuntivo di quello che accade nel ricco Nord Est nel settore Privato ove questo modello produttivo è consolidato in molti comparti produttivi e nei servizi .Deve essere chiaro:la criminalità organizzata, s’inserisce sempre da protagonista nei circuiti economici ove la lagalità è solo un formale decalogo di “buone intenzioni” mettendo a disposizione le sue funzioni e le sue regole. Sarebbe cosa saggia non sottovalutare questo infernale fenomeno, nel restringerlo solo nel campo delle sue disavventure giudiziarie.La questione non può risolversi solo con l’attività giudiziaria e con le sentenze dei tribunali, ove le fondamentali responsabilità morali, politiche e Istitituzionali difficilmente trovano ospitalità: tutto fà capo ad un sistema di relazione e di interessi che riescono a coinvolgere nel tempo qualsiasi Comunità anche quelle più forti ed emancipati.I fatti e la storia della Sicilia e del Meridione più in generale devono insegnare ,e produrre un impegno ed una cultura diversa che sottraendoci ai vizi dell’’accademismo pur preservandone le virtù, valorizzi il terreno della concreta militanza.Lo Stato pur all’interno delle sue debolezze organizzative e strutturali, sta cercando di dare una risposta forte contro la criminalità organizzata è contro la cosddetta micro-criminalita, che è il serbatio umano del fenomeno in osservazione.La politica mostra certamente un volto più affidabile anche se i suoi percorsi sono duri e difficili per la natura intrinseca delle sue debolezze.
La Società civile e le Associazioni non hanno potuto fin qui concretizzare un ruolo che va oltre l’accademismo pedagogico.Il Sindacato per la sua natura per il suo ruolo, le sue funzioni è in grado di iniziare un nuovo cammino verso la difesa dei valori sanciti dalla nostra Costituzione, dotandosi nelle C.d.L. del Paese, di specifici gruppi addetti costantemente collegati ai lavoratori.
Questo gruppo dovrebbe lavorare a stretto contatto con le imprese e le aziende sane, l’attività giudiziarie e l’ispettorato del lavoro.Con essi dovrebbe predisporre un piano di collaborazione partendo proprio dalle aziende pubbliche e quelle a partecipazione statale.
Lo strumento al quale ispirarsi e già indicato nel Forum promosso dalla Commissione antimafia della XI legislatura: attenta valutazione della provenienza dei capitali e selezione delle controparti nei rapporti d’affari;rifiuto di effettuare operazioni irregolari o collegabili a disegni criminali o ispirati da intenti illeciti o palesemente irrazionali o in concreto non realizzabili;
rifiuto di ogni improprio condizionamento nei rapporti contrattuali con l’ente appaltante, Stato, Enti Pubblici, Aziende;massima attenzione alla affidabilità della proprietà e del management e alla corrispondenza tra le competenze professionali possedute, le funzioni e i poteri attribuiti;
adeguatezza dell’organizzazione e dei controlli interni, corretta tenuta della contabilità e della altra evidenza documentale:al fine di assicurare trasparenza e intellegibilità attraveso sistemi di comunicazione e verifica interna dei dati.
A ciò si dovrebbe aggiungere la garanzia per le R.S.U. di poter svolgere le sue funzioni nel controllo della sicurezza e dell’ambiente di lavoro anche per quanto riguarda le imprese appaltatrici e la possibilità di poter verificare la regolarità normativa e contrattuale dei lavoratori con esse operanti.L’ esperienza ci insegna che il movimento dei lavoratori nelle battaglie per la liberta non decolla solo per decisione del sindacato, ma si innesca quando chiaramente il sindacato con pazienza e determinazione pionieristica ne favorisce le condizioni socio-politiche.Ricomporre e sviluppare un movimento di massa contro le corruttele e contro i poteri criminali è oggi un compito complesso: dalla Sicilia alla Lombardia e dalla Calabria al Friuli c’è ormai tanto, tantissimo da lavorare anche contro quel “rinvio al superiore interesse generale”, ma proprio la difficoltà della situazione socio-economica è in essa la nostra difficoltà, richiedono una svolta chiara e dirompente, che unisca le forze sane nel mondo del lavoro in questa imprescindibile battaglia per la libertà di tutti.......E’ doveroso da parte mia ringraziare per la costruttiva collaborazione i compagni della C.d.L. e della Fiom di Venezia, i compagni dell’Istituto Casale di Bologna che costantemente attenzionano il fenomeno criminale e le sue evoluzioni in Emilia Romagna ed i tantissimi lavoratori, militanti nella Cigil, che non menzionerò su loro precisa richiesta, per motivi d’opportunità.Questo studio effettuato per conto della Cgil è stato consegnato al Segretario Nazionale della Cgil Sergio Cofferati il 29 marzo 1999 a Roma e mai pubblicato e/o presentato in un Convegno, così come mi era stato promesso. (sic.)
Gioacchino Basile

Nessun commento: